Cosa vogliono i giovani arabi
Andrea G
La Reppublica / Moisés Naím con traduzione da Fabio Galimberti
Prima erano i jihadisti e ora sono i suprematisti bianchi. Per anni il terrorismo islamista è stato visto come una delle principali minacce, soprattutto per l'Europa e gli Stati Uniti. Adesso non più. Ora le preoccupazioni sono il coronavirus e la violenza degli estremisti bianchi. Il terrorismo suprematista bianco è molto presente ed è un fenomeno in crescita. Secondo Christopher Wray, il direttore dell'Fbi, "la principale minaccia che abbiamo di fronte sono i gruppi che chiamiamo "estremisti violenti motivati da fattori razziali o etnici", e nello specifico ci preoccupano quelli che sostengono la superiorità della razza bianca". L'Fbi ha elevato la minaccia rappresentata da questi gruppi, attribuendole lo stesso livello di pericolosità dello Stato islamico. Wray ha detto che l'anno scorso la polizia federale indagava su 850 casi di terrorismo suprematista bianco, mentre ora i casi aperti sono duemila. Questo tipo di terrorismo non è un fenomeno solo statunitense. Negli ultimi anni la presenza e le azioni violente sono aumentate anche in Europa e in Oceania. Ovviamente, il fatto che si senta parlare meno dei gruppi jihadisti non significa che le condizioni all'origine di questa violenza siano diventate meno rilevanti.
Un indicatore della frustrazione dei giovani arabi è che circa la metà di loro ha pensato o pensa di emigrare all'estero. In alcuni Paesi del mondo arabo, questi aspiranti emigranti sono una maggioranza schiacciante: vorrebbe andarsene via il 77% in Libano, il 69% in Libia e il 56% in Giordania. Questi dati sono ricavati da un sondaggio realizzato dalla società di comunicazione Asda'a-Bcw. Da dodici anni interroga ogni anno un campione di giovani tra i 18 e i 24 anni che vivono in 17 Paesi del Medio Oriente e del Nordafrica. I risultati spesso sono in contraddizione.
Per il 40% degli intervistati la religione è l'elemento che concorre maggiormente a definire la propria identità, più della famiglia (il 19) o della nazionalità (il 17). Ma questo diffuso sentimento religioso non si traduce in un sostegno verso quei governi che mettono al centro la religione. I ragazzi intervistati vogliono governi meno corrotti e più efficienti, che siano capaci di creare occupazione e migliorare la qualità dell'istruzione. L'87% di loro è preoccupato dalla disoccupazione e più della metà non pensa che il governo sia in grado di offrire soluzioni a questo problema. Il 41% ritiene che la corruzione nel suo Paese sia generalizzata e il 36% è convinto che ci sia corruzione nel governo. Questo rigetto della corruzione è uno dei fattori che spiegano il consenso per l'ondata di proteste di piazza contro i governi in carica, che sono diventate frequenti, per citare solo alcuni esempi, in Libano, in Algeria, in Sudan e in Iraq. Come è successo in altre parti del mondo, nel mondo arabo i social network hanno giocato un ruolo amplificatore.
Cinque anni fa, il 25% dei giovani indicava i social network come principale fonte di notizie: ora questa percentuale è schizzata al 79%. La diffusione di internet tra i giovani rende molto sorprendente uno dei risultati di questo sondaggio. Quando è stato chiesto qual era il determinante principale della loro identità individuale, solo un 5 per cento ha indicato il genere. Considerando che il campione di intervistati è stato disegnato in modo che ci fosse lo stesso numero di uomini e di donne, lo scarso peso attribuito al genere è una cosa che dà da pensare. È in linea con un altro dato sorprendente: il 64% ritiene che nel proprio Paese le donne abbiano gli stessi diritti degli uomini e l'11% è convinto addirittura che abbiano più diritti. Purtroppo, gli autori dell'inchiesta non forniscono nessuna spiegazione di questo risultato. Per concludere, un'altra rivelazione interessante è l'attrazione che esercitano gli Emirati Arabi Uniti. Il 34% è convinto che gli Emirati abbiano accresciuto la loro influenza nella regione, secondi solo all'Arabia Saudita (il 39%).
Gli Emirati risultano, per il nono anno consecutivo, il Paese dove i giovani arabi desiderano vivere: il 46% li indica come destinazione preferita per emigrare, davanti agli Stati Uniti al 33%. È il dato che fa più effetto, perché sembra indicare che il desiderio principale di questi giovani non è vivere in Occidente: quello che vogliono è vivere in un Paese che funziona. Questa combinazione di aspettative e frustrazioni mette i loro governi di fronte a una sfida formidabile. Se prima della pandemia e delle sue devastanti conseguenze economiche, i duecento milioni di giovani arabi dovevano fare i conti con la disoccupazione, con una corruzione intollerabile e con governi incapaci di fare le riforme, ora la situazione è peggiore.
In alcuni Paesi, i giovani scenderanno in piazza per protestare; in altri prenderanno l'aereo, la nave e la macchina per cambiare Paese, visto che non riescono a cambiare il governo. Sono curioso di vedere che cosa dirà il sondaggio del prossimo anno.
(traduzione di Fabio Galimberti)