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Global Columns

Il Qatar: E la Maledizion e delle Risorse

Andrea G

World Energy & Oil / Moisés Naím

Troppo spesso le risorse naturali inaridiscono lo sviluppo economico e sociale. Dalla Nigeria all’Indonesia, dalla Repubblica Democratica del Congo al Venezuela, i paesi benedetti da ricchezze minerarie importanti si trovano impantanati in cicli di corruzione, instabilità politica, illegalità e povertà cronica. È la “maledizione delle risorse”, come la definiscono i ricercatori: un fenomeno che relega una porzione scioccante dell’umanità in condizioni di vita deplorevoli.

Si sono proposte varie ricette contro la maledizione delle risorse, e oggi il Qatar ne sta sperimentando una variante interessante: una combinazione di monarchia tradizionale, un’ampia classe lavoratrice composta di stranieri e una democrazia ostinatamente indipendente. Il mondo è affamato di soluzioni alla maledizione delle risorse e imparerà molto dal risultato dell’esperimento del Qatar.

La maledizione delle risorse si riduce per il governo a un problema di incentivi. Nella maggioranza delle economie, per mantenersi in vita il governo deve tassare la popolazione, e ha quindi interesse diretto nella prosperità dei cittadini: più sono ricchi, più li può tassare.

Questo rapporto tra governo e popolazione, tuttavia, nelle economie basate sulle risorse viene meno: il governo estrae le proprie entrate dal suolo, non dalle tasche dei cittadini. Ciò significa che i governanti possono prosperare anche quando il popolo langue, e troppo spesso è proprio quello che succede. Ma non tutti i paesi ricchi di risorse si trasformano in cleptocrazie estrattive: se la popolazione non è numerosa e il sistema di governo è stabile, la ricchezza di risorse può essere un trampolino di lancio per una prosperità diffusa.

UN SUCCESSO A METÀ
Si prenda il Qatar: una penisola grande quanto il Connecticut, protesa nel Golfo Persico, che è ormai una moderna potenza culturale, finanziaria, diplomatica ed energetica. Le risorse energetiche del paese pongono i suoi cittadini tra i più ricchi del mondo.

Una storia di successo? Sì, ma non del tutto. I cittadini del Qatar godono di servizi invidiabili, certo, ma nel paese solo un abitante su otto è un cittadino vero e proprio. Circa la metà della popolazione è infatti costituita da lavoratori provenienti da India, Pakistan, Nepal e Bangladesh, e l’altra metà viene da tutto, ma proprio tutto, il resto del mondo.

La prosperità del Qatar è stata costruita da una classe lavoratrice interamente importata, fatta di stranieri, di passaggio e con diritti limitati, lavoratori che in Qatar per lungo tempo hanno dovuto vivere in condizioni tra le più difficili al mondo, quelle del Kefala, il sistema di sponsorizzazione del lavoro.

Nella sua forma tradizionale, il sistema del Kefala subordina rigidamente il diritto dei lavoratori stranieri di rimanere nel paese al loro servire un unico datore di lavoro. Facendo pendere la bilancia del potere contrattuale a netto favore dei datori di lavoro del Qatar, il Kefala ha aperto la via agli abusi, con anni di titoli agghiaccianti sulle condizioni estenuanti degli operai edili nella famigerata e spietata canicola estiva del paese. Sono tanti i lavoratori stranieri morti in Qatar in quegli anni, per quanto sia ancora controverso il numero dei decessi direttamente legati alle condizioni di lavoro.

Il sistema tradizionale si è rivelato insostenibile. Nel 2020 è stata introdotta un’importante riforma che consente ora ai lavoratori stranieri di passare al servizio di un altro datore di lavoro senza dover tornare in patria tra un impiego e il successivo: è un grande passo in avanti, ma ancora non basta. Di fatto, il sistema riformato non obbliga ma comunque invita i lavoratori stranieri a cambiar lavoro solo con il benestare del datore di lavoro che si apprestano a lasciare.

Le organizzazioni sindacali avvertono di come questo possa facilmente trasformarsi in una sorta di condanna per i lavoratori stranieri: semplicemente negando il consenso, il datore di lavoro invita il potenziale nuovo datore di lavoro a stare alla larga da quel particolare lavoratore. E certo non ispira fiducia nella riforma il rifiuto del governo di rivelare quanti lavoratori siano effettivamente riusciti a cambiare occupazione senza il consenso del precedente datore di lavoro.

Eppure, il Qatar non ha problemi ad attrarre lavoratori stranieri: il salario minimo mensile di 275 dollari rimane quasi quattro volte superiore a quello del Nepal e circa il doppio di quello del Pakistan. Il tasso di disoccupazione ufficiale inferiore all’uno percento indica abbastanza chiaramente che non c’è carenza di forza lavoro per la costruzione del Qatar.

Fenomeno ben più visibile a tutti è che il Qatar ospiterà della Coppa del Mondo FIFA 2022, oltre ad essere sede di università internazionali di livello mondiale e di istituti di ricerca all’avanguardia e ad avere un settore finanziario fiorente e un turismo culturale tra i più vivaci della regione. Il Qatar brulica di start-up di talento di livello mondiale ed è ormai uno dei maggiori hub aerei, fungendo da collegamento fisico, in senso più letterale che mai, tra Europa, Asia e Africa.

TRA MODERNITÀ E TRADIZIONE
Gli imprenditori del Qatar sono di casa nello spazio tra modernità e tradizione: è qui che è stato creato Sajdah, il primo tappeto da preghiera intelligente del mondo.

Progettato per arricchire l’esperienza spirituale dei musulmani e aiutare i bambini a memorizzare le preghiere, proietta i testi da recitare su uno schermo LED integrato, monitora la postura del fedele durante tutta la preghiera e corregge delicatamente eventuali errori, con un’app sullo smartphone a ricordare, in inglese e in arabo, gli orari della preghiera.

Innovazioni come questa sono possibili solo dove gli investitori si sentono al sicuro. Grazie ai solidi impegni sulla sicurezza presi dagli Stati Uniti, che comprendono una grande base di marine, e ai suoi militari generosamente finanziati, il Qatar si sente sicuro, almeno quanto una nazione possa sentirsi sicura in questa volubile parte del mondo. L’esercito del Qatar può anche essere piccolo, ma la diplomazia del paese è abile e determinata a mantenersi indipendente, senza farsi pestare i piedi da nessuno al mondo.

In verità, sono molte le sfide che il Qatar deve affrontare: geograficamente incastonato tra Iran e Arabia Saudita, vive in una delle zone più proverbialmente difficili del mondo. Costruita da una classe lavoratrice straniera che supera di gran lunga il numero dei suoi cittadini, la sua identità è definita proprio dai privilegi dei suoi cittadini. E per il settore delle start-up high tech, destreggiarsi nel contesto di una monarchia islamica tradizionale non sarà mai semplice.

Oggi in Qatar si mettono alla prova grandi idee; resta da vedere se la monarchia tradizionale riuscirà a sottrarsi alla maledizione delle risorse in modo sostenibile e a utilizzare la propria fortuna in gas per costruire un’economia post-gas prospera e fiorente. Il suo sistema politico chiuso ha finora mantenuto solidamente stabile il Qatar e ha assicurato prosperità ai suoi cittadini, migliorando gradualmente le condizioni della vasta classe lavoratrice straniera.

La vera prova saranno tuttavia i decenni a venire, con il mondo che gradualmente compirà la transizione energetica abbandonando petrolio e gas. Perché la sfida ultima per una prospera economia delle risorse consiste nel preservare la prosperità anche dopo che le risorse si sono esaurite.