Vladimir Putin e il dittatore in trappola
Andrea G
La Reppublica / Moisés Naím con traduzione da Luis E. Moriones
All'inizio della sua presidenza, nel 2000, Putin rilasciò una lunga intervista televisiva. Parlò della sua visione del futuro della Russia, condivise ricordi della sua gioventù e riflessioni su ciò che aveva vissuto, compresa una lezione che aveva imparato da un topo. Quando era molto giovane, Putin e i suoi genitori vivevano in un piccolo appartamento in un edificio fatiscente a Leningrado (ora San Pietroburgo) che, tra gli altri problemi, era infestato dai topi. Il giovane Putin li inseguiva con un bastone. "Lì, ricevetti una lezione tanto veloce quanto duratura sul significato dell'espressione "essere messo all'angolo"", disse Putin nell'intervista. E aggiunse: "Una volta vidi un ratto enorme e lo inseguii per tutto il corridoio finché non lo spinsi in un angolo. Non c'erano vie di scampo. Allora, con uno scatto improvviso, quello si scagliò contro di me. Ora era il ratto che inseguiva me. Per fortuna fui un po' più veloce di lui e riuscii a sbattergli la porta sul naso".
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Così, fin da piccolo, Putin ha capito che un animale messo all'angolo può essere pericoloso. È una lezione di cui tutti dovremmo tenere conto. Ma che cosa succede se, invece di essere messo all'angolo, finisce in una trappola?
Una tipica trappola per topi è composta da una scatola con una porticina da cui il topo può entrare. Dentro, c'è un pezzo di formaggio che fa scattare una molla. Se il topo cerca di prendere il formaggio, la molla scatta, la porta si chiude e lui rimane prigioniero. È in trappola.
La stessa cosa accade ai dittatori contemporanei. Entrano nel palazzo presidenziale attratti dal formaggio - che in questo caso è il potere - e prima che se ne accorgano vi rimangono intrappolati. Se lasciano il potere, la loro libertà - se non la loro vita - è in pericolo, così come quella dei loro parenti e complici. Grazie alla loro alta posizione possono proteggere meglio le enormi fortune rubate. Naturalmente, i dittatori non hanno la minima voglia di rinunciare al potere.
La metaforica trappola per topi che ingabbia i dittatori al potere ci suggerisce una delle grandi sfide del mondo di oggi. Quale dovrebbe essere il destino dei dittatori deposti? In passato, quelli che non venivano uccisi o messi in prigione e riuscivano a fuggire con il loro mal guadagnato bottino spesso finivano in quei luoghi idilliaci frequentati dai sovrani europei. Oggi, i tiranni che perdono il potere finiscono in Europa, ma non a Monaco o a Biarritz, bensì al Tribunale penale internazionale dell'Aia.
L'impunità di cui godevano i dittatori di una volta è scomparsa da quando l'ex presidente del Cile, Augusto Pinochet, fu arrestato mentre era in visita a Londra nel 1998. Questa mossa espresse la nuova dottrina dei diritti umani della "giurisdizione universale" e segnò l'inizio di una nuova era in cui si chiede conto ai responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. Per un dittatore come il venezuelano Nicolás Maduro, per esempio, dimettersi significa andare in prigione. Vladimir Putin affronta oggi una situazione simile.
Naturalmente, tutto ciò rende i dittatori ancora più riluttanti a rinunciare al potere. Non hanno motivo di credere che l'immunità eventualmente promessa loro da altri governi duri a lungo. Le circostanze, le alleanze e i governi cambiano e i nuovi governanti possono decidere di non essere vincolati dagli impegni di chi li ha preceduti. Per questi dittatori, l'unico governo affidabile è quello che presiedono e le uniche forze armate che li difenderanno sono quelle che comandano.
Questo è uno dei problemi più spinosi del nostro tempo. Si deve cercare un accordo con i dittatori responsabili della morte di migliaia di persone innocenti? O l'etica, la giustizia e la geopolitica ci obbligano a cercare di rovesciare questi dittatori?
Non ci sono risposte facili. Quanti morti si eviterebbero se si raggiungesse un cessate il fuoco in Ucraina? È accettabile raggiungere un accordo con Putin per ottenere il ritiro dell'esercito russo accogliendo in cambio alcune delle sue richieste? Per molti, questo sarebbe immorale e per Putin significherebbe indebolirsi. Altri sostengono che la priorità è fermare l'uccisione di civili innocenti.
Non ci sono risposte ovvie a queste domande. Ma almeno oggi sappiamo che i Paesi dove regna la democrazia possono formulare delle proposte. Tra tutte le orribili notizie che l'invasione di Putin ha portato, c'è una buona notizia che dovrebbe darci speranza: le democrazie hanno dimostrato che possono lavorare di concerto e affrontare collettivamente i mali che colpiscono il pianeta. I difensori della libertà hanno oggi l'opportunità di stabilire loro le priorità e non i tiranni.
(Traduzione di Luis E. Moriones)