La sorpresa americana
Andrea G
La Reppublica / Moisés Naím con traduzione da Fabio Galimberti
I cambiamenti internazionali che ci riguardano tutti sono diventati più frequenti. Alcuni ci toccano direttamente e altri hanno effetti più remoti, ma le notizie quotidiane ci lasciano con la sensazione che ci troviamo in un'epoca di grandi trasformazioni. In alcuni casi non abbiamo bisogno che i media ci informino dei cambiamenti, perché li viviamo ogni giorno. Il coronavirus è un esempio, grave, globale e per molti aspetti inedito. Un altro esempio è il numero record di rifugiati climatici che hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni in seguito a devastanti incendi, uragani o cicloni; ondate di calore con temperature che nell'era preindustriale si verificavano ogni cinquant'anni ormai arrivano a cadenza decennale. Ma le notizie che hanno un effetto diretto su di noi non sono solo quelle frutto dei cambiamenti climatici o della pandemia.
Anche la politica mondiale ci sorprende. Nessuno si aspettava che una folla di seguaci di Donald Trump assaltasse il Campidoglio degli Stati Uniti, o che il ritiro dall'Afghanistan, largamente annunciato, venisse gestito in modo tanto inetto da Joe Biden. Per altro verso, gli attriti fra gli Stati Uniti e la Cina sono diventati così frequenti che ormai è quasi una banalità dire che è scoppiata una guerra fredda fra le due superpotenze. Il riscaldamento globale sta cambiando il mondo, ma anche la geopolitica.
Oltre a questi eventi, ce ne sono altri meno visibili ma dalle enormi conseguenze per il futuro. Dagli Stati Uniti, per esempio, arrivano due sorprese che vale la pena evidenziare. Una di queste notizie ha a che vedere con la demografia degli Usa: l'attuale tasso di crescita della popolazione (0,35 per cento l'anno) è il più basso da 122 anni a questa parte. Uno dei motivi è che è scesa l'aspettativa di vita, ed è un declino che è cominciato prima dell'impatto della pandemia di Covid, la malattia che ha mietuto più vittime nella storia americana. Questa crescita della mortalità riguarda principalmente i più poveri e i lavoratori, in particolare quel 52 per cento della popolazione che non ha un titolo universitario. È una diseguaglianza che il Covid ha acutizzato. Dal 2019, quando è scoppiata la pandemia, al 2020 l'aspettativa di vita fra ispanici e afroamericani negli Usa è diminuita di 3 anni; fra i bianchi, di 1,2 anni. Questi cambiamenti del quadro demografico avranno un impatto enorme sulla politica e l'economia.
Uno degli ambiti più interessati dal cambiamento demografico sarà la situazione fiscale: chi paga le tasse, quante tasse paga in percentuale e come il governo spenderà quelle che riscuote. La tolleranza verso gli elevati livelli di diseguaglianza economica negli Stati Uniti si è ridotta notevolmente e Joe Biden si è posto come obbiettivo di restringere questo divario economico. Per farlo, punta sulle capacità di riscossione dello Stato e intende usare la spesa pubblica per innescare cambiamenti sociali.
Un esempio è la decisione di aumentare l'ammontare minimo delle imposte a carico delle grandi multinazionali. Non solo, il presidente ha deciso anche di non procedere unilateralmente, ma di creare una coalizione ampia di Paesi disposti ad agire in modo coordinato. Lo scopo di internazionalizzare questa iniziativa è evitare che le imprese spostino la loro attività nel Paese dove pagano meno tasse. La proposta di Biden e della sua segretaria al Tesoro Janet Yellen è di imporre una tassa minima globale del 15 per cento su tutte le imprese con ricavi superiori agli 890 milioni di dollari.
Secondo l'Ocse, le grandi multinazionali sono riuscite a eludere imposte per somme tra i 100 e i 240 milioni di dollari ogni anno, vale a dire dal 4 al 10 per cento di tutte le tasse pagate da queste imprese. L'aliquota pagata dalle multinazionali si è dimezzata (dal 49 al 24 per cento) fra il 1985 e il 2018. Nel 2017, l'ultimo anno per cui disponiamo di dati affidabili, le multinazionali hanno collocato il 40 per cento dei loro profitti, circa 700 miliardi di dollari, in paradisi fiscali dove pagano poco o nulla di tasse.
Con questo accordo, gli Stati Uniti hanno convinto 132 Paesi a impegnarsi ad applicare l'aliquota minima globale. I partecipanti all'accordo rappresentano oltre il 90 per cento dell'economia mondiale e questo riduce la possibilità per le imprese di eludere le tasse spostando i profitti in nazioni meno esose. Non è scontato che l'accordo sopravviva esattamente come è stato approvato. Possiamo presumere che le imprese useranno le enormi risorse a loro disposizione in termini monetari e di capacità di pressione politica per assicurarsi che l'accordo finale sia più in linea con i loro interessi. In ogni caso, però, è la dimostrazione che la collaborazione internazionale è possibile. E questo è un cambiamento che vale la pena celebrare.
(Traduzione di Fabio Galimberti)