Le conseguenze delle conseguen ze del calo dei prezzi del petrolio
Andrea G
Moisés Naím / World Energy & Oil
Le variazioni improvvise, prolungate e di una certa entità, del prezzo del petrolio cambiano il mondo. È avvenuto nel 1974 e sta avvenendo di nuovo. Nel marzo del 1974 il prezzo del petrolio registrò un’impennata da 3 a 12 dollari al barile. Il nuovo prezzo creò nuove potenze economiche: i paesi produttori di greggio, principalmente nel Medio Oriente e nel Nord Africa. Fu anche un duro colpo per le economie di Stati Uniti, Europa, Giappone e altri importatori di petrolio. Lo shock petrolifero mutò i rapporti tra i principali attori geopolitici e ne creò di nuovi. L’innalzamento dei prezzi ebbe molte conseguenze impreviste: dalle guerre per il petrolio alla diffusione internazionale del fondamentalismo islamico grazie ai finanziamenti di paesi super-ricchi come l’Arabia Saudita. Il mondo sta ora scoprendo come il calo assolutamente improvviso e consistente del prezzo del greggio può avere conseguenze altrettanto nefaste della quadruplicazione dei prezzi del petrolio che caratterizzò lo shock petrolifero del 1974.
LO SHOCK PETROLIFERO DEL 2015
Alcuni degli effetti mondiali del consistente calo dei prezzi del petrolio, iniziato nell’estate del 2014, sono stati subito evidenti. Ne sono un esempio i tranquilli consumatori di benzina degli Stati Uniti e altrove, come pure i governi preoccupati dei paesi esportatori, che si trovano ora a dover tagliare i budget pubblici rischiando di generare inquietudini sociali e politiche. Due esempi significativi dell’impatto diretto dell’abbassamento dei prezzi in paesi esportatori con economie già deboli, e che hanno accusato il colpo della caduta dei prezzi, sono la Russia e il Venezuela.
La svalutazione del rublo è stata verticale; i prezzi del mercato azionario di Mosca sono scesi; le riserve della Banca Centrale si vanno assottigliando; fuga di capitali all’estero; flessione dei rendimenti delle esportazioni; sostanziale stagnazione degli investimenti stranieri. I titoli di Stato russi sono ora considerati spazzatura dalle agenzie di rating. Tutto questo, ovviamente, è da imputare al calo dei rendimenti del petrolio (68 percento del totale delle esportazioni della Russia e 50 percento dei rendimenti dei budget pubblici) e alle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti e dall’Europa per l’atteggiamento tenuto dal Cremlino nei confronti del governo di Kiev. La paura, com’è ovvio, è che un Putin sul piede di guerra possa creare focolai all’estero per sviare l’attenzione dal peggioramento delle condizioni economiche interne. In Venezuela, l’economia era già nel caos quando il petrolio era a quota 120 dollari al barile, e ora sta andando fuori controllo per effetto del dilagare della corruzione, di una gestione deplorevole e dell’abbassamento del prezzo del petrolio. Ciò nonostante, il presidente Nicolas Maduro ha ripetutamente sottolineato che la situazione attuale è frutto di una cospirazione internazionale a guida statunitense e ha reagito intensificando gli attacchi contro i suoi critici e la repressione contro i politici dell’opposizione.
I bassi prezzi del petrolio possono favorire pericolosi conflitti internazionali, innescati da leader che hanno necessità di distrarre l’attenzione dal malcontento interno, mentre in altri paesi possono creare le condizioni per riforme necessarie e a lungo rinviate. Purtroppo, però, possono anche indurre i governi a una politica più repressiva all’interno e più aggressiva all’estero.
GLI IMPATTI DI SECOND’ORDINE
Gli impatti iniziali più diretti stanno facendo sentire il loro peso. Gli effetti di second’ordine dell’abbassamento dei prezzi del petrolio (“le conseguenze delle conseguenze”) incominciano invece a farsi sentire solo ora. I recenti titoli danno un’idea di ciò che ci aspetta se i prezzi del petrolio rimarranno bassi per un periodo prolungato. In Ucraina la Chevron ha annullato un progetto di esplorazione per lo shale gas da 10 miliardi di dollari. Il governo di Kiev contava su di esso per stimolare un’economia in crisi e, una volta completato, per ridurre la propria dipendenza dal gas russo. Solo un esempio concreto di un trend più generale: scartare o rinviare progetti energetici perché improvvisamente divenuti troppo rischiosi o economicamente impraticabili a un livello di prezzo più basso. ExxonMobil ha annunciato che quest’anno taglierà le spese in conto capitale del 12 percento. Il trend interessa per di più tutto il settore: stando a quanto affermato da Goldman Sachs, gli investimenti pianificati in progetti energetici attualmente in fase di revisione o annullati ammontano a un trilione di dollari. Nel lungo termine, questo potrebbe significare una minore produzione e prezzi dell’energia più alti. Tuttavia, nel breve termine la repentina scomparsa di questo enorme flusso di investimenti non potrà non danneggiare le società energetiche, e soprattutto i loro fornitori di attrezzature, nonché le società edili e di ingegneria che li dovrebbero realizzare. Danneggerà inoltre le città e le regioni in cui tali società operano: dal Texas alla Nigeria.
COGLIERE IL MOMENTO PER TAGLIARE I SUSSIDI
Non tutte le conseguenze di second’ordine del calo dei prezzi del petrolio sono negative. Si prenda ad esempio il seguente commento sull’economia malesiana pubblicato di recente dal FMI: ”Dopo l’innalzamento delle tariffe dell’elettricità all’inizio del 2014, il governo ha approfittato del calo dei prezzi dell’energia nella seconda metà dell’anno per ridurre e in definitiva eliminare i restanti sussidi per la benzina e il diesel. [Ciò] dovrebbe anche favorire la diversificazione delle basi del sistema federale delle entrate, ampliandolo oltre la volatilità dei rendimenti del settore gaspetrolifero. Il rafforzamento della rete di sicurezza sociale della Malesia è parte integrante della strategia fiscale delle autorità. La rimozione dei sussidi ha liberato risorse che possono essere reindirizzate verso un miglior sostegno alle famiglie più povere attraverso trasferimenti di contanti meglio mirati.” La stessa cosa è avvenuta in India e Marocco. In India il governo Modi ha tagliato gli ingenti sussidi pubblici per il carburante diesel, da tempo ritenuti dannosi ma la cui perdita era politicamente impopolare. Il Marocco, che già pianificava la riforma dei sussidi, altamente inefficienti, ha visto i suoi piani facilitati non poco dal calo dei prezzi del petrolio.
I sussidi per l’energia sono tanto comuni quanto nocivi per l’economia, per i poveri e, naturalmente, per l’ambiente. Questo perché stimolano i consumi, minando così gli sforzi diretti al risparmio di energia e a un suo uso più efficiente.
Secondo la Banca Mondiale, questi sussidi sono altamente regressivi: il 60-80 percento di quello che i governi del Medio Oriente e del Nord Africa spendono in sussidi per l’energia va a vantaggio del 20 percento più ricco della popolazione, con i poveri che ricevono meno del 10 percento di questi fondi pubblici.
Il crollo verticale dei prezzi del petrolio sta causando un’ondata di riforme finalizzate alla riduzione o all’eliminazione dei sussidi governativi per il carburante, il cui importo supera i 540 miliardi l’anno. Stando a quanto riportato dal New York Times, anche i produttori di petrolio, come ad esempio Oman, Kuwait e Abu Dhabi, hanno avviato l’implementazione di tagli ai sussidi. Il governo indonesiano ha di recente abbandonato la quarantennale politica di sussidi per la benzina. Persino il Venezuela, con i maggiori sussidi per la benzina del mondo, sta prendendo in considerazione la possibilità di aumentare i prezzi interni del carburante.
Altro vantaggio potenziale dell’abbassamento dei prezzi del petrolio è che potrebbe ridurre gli incentivi alla produzione di petrolio extra-pesante, più inquinante. Alcune delle maggiori riserve petrolifere del mondo sono di questo tipo, ovvero più costose e tecnicamente più difficili da sviluppare. È il caso delle riserve di petrolio extra-pesante del Venezuela nella regione fluviale dell’Orinoco. A causa dei maggiori costi di produzione e di rigradazione, lo sviluppo di queste riserve sarà probabilmente rinviato. Il problema, ovviamente, è che i prezzi più bassi del petrolio stanno erodendo i margini di fattibilità economica delle fonti di energia pulita, come quella solare, quella eolica, ecc. Gli ottimisti sperano che i minori prezzi del petrolio e del gas stimoleranno i produttori di energia da fonti rinnovabili a migliorare le proprie tecnologie e i propri metodi di produzione, affinché siano meno costosi ed economicamente più praticabili. Ciò, a sua volta, renderà l’energia rinnovabile più allettante in termini commerciali quando i prezzi del petrolio torneranno a salire.
PETROLIO IN RIBASSO E ALTA FINANZA
Un’altra area in cui il ribasso dei prezzi ha avuto conseguenze di primo piano sono i mercati finanziari.
Il minor prezzo del petrolio danneggia infatti i bilanci delle società del settore energetico riducendo i volumi delle loro cosiddette “proven reserves” (riserve provate), che sono i beni commerciabili di queste aziende e uno dei principali fattori nella determinazione del loro valore di mercato. Man mano che i prezzi del petrolio scendono, gli alti costi di produzione di alcuni giacimenti rendono il loro sfruttamento non conveniente a livello economico. Di conseguenza, questi pozzi non possono più considerarsi parte delle “proven reserves” ma diventano invece “stranded assets” (attività arenate), una tendenza già riscontrabile in relazione ad alcuni dei giacimenti petroliferi con i costi di sfruttamento più elevati a livello internazionale. Il termine “stranded assets” era stato creato in origine per descrivere i volumi di combustibili fossili che non verranno utilizzati in quanto i timori legati al cambiamento climatico spingeranno i governi a limitare il ricorso a questo tipo di fonti energetiche. L’abbassamento dei prezzi petroliferi tende inoltre a determinare l’accumulo di ingenti scorte di “stranded assets” che esercitano un impatto negativo sulle valutazioni di alcune delle maggiori multinazionali del petrolio.
Anche cambiamenti del comportamento d’investimento dei fondi sovrani possono causare sviluppi con impatti di rilevo sui mercati finanziari globali. Alcuni dei maggiori fondi sovrani del mondo appartengono ai paesi produttori di gas e petrolio. Ad esempio, il fondo del governo norvegese controlla circa l’1,3 percento di tutti i titoli globali. Una prolungata fase di depressione dei prezzi petroliferi potrebbe costringere la Norvegia a coprire le perdite di bilancio legate ai minori introiti petroliferi attingendo alle risorse del proprio fondo sovrano, il che porterebbe naturalmente alla liquidazione di ingenti investimenti esercitando così pressioni al ribasso sui mercati azionari globali.
Infatti, questo fondo del valore di 840 miliardi di dollari ha incaricato un gruppo di esperti di valutare se debba smettere di investire in società del settore dei combustibili fossili in vista delle ingenti svalutazioni che gli investimenti nel comparto degli idrocarburi potrebbero subire.
In aggiunta al cambiamento delle politiche di fondi sovrani, molti paesi produttori proprietari di fondi di stabilizzazione come Nigeria, Kuwait, Iran e Kazakistan hanno dichiarato l’intenzione di sfruttarne le risorse finanziarie per colmare le perdite fiscali legate al crollo dei ricavi generati dalle esportazioni di gas e petrolio. I crescenti problemi finanziari delle multinazionali a controllo statale dei paesi produttori di gas e petrolio, come Pemex in Messico, Petrobras in Brasile, Gazprom in Russia, Nnpc in Nigeria, Ypf in Argentina e Pdvsa in Venezuela, potrebbero spingere queste aziende a offrire condizioni più favorevoli e contratti di joint-venture a società private e investitori esteri. Nel settore privato, le svalutazioni legate al calo dei prezzi petroliferi potrebbero determinare un’ondata di fusioni e acquisizioni nel settore energetico. Non si può escludere la possibilità di una fase di consolidamento di larga portata, nel qual caso la struttura del settore subirebbe una radicale trasformazione.
LE RIPERCUSSIONI GEOPOLITICHE
Per finire, il ribasso dei prezzi del petrolio comporta anche delle conseguenze impreviste. Ad esempio, il rapporto tra Russia ed Europa ha risentito del conflitto in Ucraina e delle sanzioni imposte alla Russia, ma anche del calo delle quotazioni energetiche. La disdetta del gasdotto South Stream che Gazprom avrebbe dovuto costruire attraverso il Mar Nero e l’Europa Sud-orientale è solo una delle manifestazioni di una situazione estremamente fluida che ha senza dubbio modificato l’assetto del mercato energetico di queste regioni. Anche il rapporto tra Russia e Cina sta attraversando una fase di evoluzione. Matt Ferchen, del Carnegie- Tsinghua Center for Global Policy di Pechino, prevede che i rapporti economici tra i due paesi si faranno più stretti: “I calcoli della Cina a livello di accordi nel settore energetico dipendono dalla sua posizione negoziale di vantaggio sul prezzo del petrolio, mentre la Russia, oggi in difficoltà a causa delle sanzioni e del calo dei prezzi energetici, ha bisogno di un alleato”. In America Latina e nei Caraibi l’influenza politica del Venezuela sta scemando per via di vari fattori, ma soprattutto il fatto che il governo bolivariano non può più contare su entrate di entità comparabile a quelle di cui disponeva l’amministrazione Chavez per acquisire enorme influenza all’estero sovvenzionando gli Stati amici con forniture petrolifere e negandole invece ai paesi rivali. Le nazioni che hanno finora dipeso dalla sua generosità dovranno cercare alternative che potrebbero comportare l’avvio di rapporti con altre forze politiche della regione. Nel recente rapprochement tra Cuba e gli Stati Uniti ha svolto un ruolo importante anche il prezzo del petrolio. La crisi economica del Venezuela ha fatto salire il rischio che l’isola non sia più in grado di contare sugli enormi sussidi provenienti da Caracas, di cui ha beneficiato per oltre un decennio. Per questo motivo, ora che sono venuti a mancare gli aiuti dal Venezuela, il regime cubano era ansioso di trovare un nuovo benefattore. E, naturalmente, non esiste altra regione al mondo dove le conseguenze secondarie del crollo dei prezzi petroliferi siano più complesse e determinanti che nel Medio Oriente. “L’ISIS stenta a far quadrare il bilancio a fronte del calo delle entrate” scriveva il Financial Times a febbraio di quest’anno. La giornalista Erika Solomon segnala che: “Il gruppo jihadista più ricco del mondo non ha più le disponibilità economiche di una volta … Ha dovuto ridurre le sovvenzioni a carburanti e pane e sta imponendo alla popolazione locale tasse sempre più alte. È probabile che persino i combattenti stiano iniziando a risentire delle conseguenze della situazione. … L’analista Torbjorn Soltvedt stima che i ricavi del gruppo dalla vendita di petrolio siano scesi a 300.000 dollari al giorno contro guadagni giornalieri stimati di 1-2 milioni di dollari l’anno passato, e puntualizza: “Non credo che questo sarà sufficiente per fermare l’ISIS, ma potrebbe accelerarne l’implosione”. Un altro importante attore nel mercato del petrolio è l’Iran. Le ragioni che hanno spinto il regime di Tehran ad aprire un tavolo di negoziati sul programma nucleare nazionale con gli Stati Uniti e altri sei paesi sono molteplici ed esulano dal solo prezzo del petrolio, ma il fatto che l’Iran sia uno dei paesi produttori che hanno risentito maggiormente della situazione, a livello mondiale, deve avere senza dubbio un peso sull’atteggiamento del governo in questi negoziati.
Tutti questi effetti, sia i più diretti e immediati che quelli di lungo termine e indiretti dipendono da due fattori: quanto scenderanno ancora le quotazioni del greggio e quanto a lungo durerà questa fase di prezzi bassi. Prevedere l’evoluzione futura delle quotazioni dell’oro nero è molto difficile e vale la pena di ricordare che nessun esperto, multinazionale o governo era stato in grado di prevedere il drastico crollo iniziato durante l’estate del 2014. Tuttavia, vista la posizione che ricopre, una delle persone meglio informate a riguardo dovrebbe essere Rex Tillerson, amministratore delegato di ExxonMobil, secondo il quale “il mondo dovrebbe rassegnarsi” ad un periodo di prezzi petroliferi relativamente bassi … I produttori di gas e petrolio di scisto statunitensi stanno esibendo una tenuta più buona di quanto molti si aspettassero e la domanda legata alla crescita in Cina e altrove è rallentata. Queste condizioni potrebbero durare ancora per vario tempo”.