Moisés Naím

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La finta democrazia

La Reppublica / Moisés Naím con traduzione da Fabio Galimberti

La proliferazione di autocrati innamorati delle elezioni presidenziali è un fenomeno politico sorprendente. Non significa che i dittatori amino le elezioni libere e imparziali, quelle in cui potrebbero anche perdere, questo no. Quello che piace agli autocrati è il vago aroma democratico che ti conferisce un'elezione popolare (purché la vittoria sia garantita, ovviamente). E la cosa strana è che, nonostante la gente, dentro e fuori del Paese, sappia che l'elezione è una farsa, gli autocrati continuano ad allestire questo teatro elettorale che simula un voto democratico.

Queste elezioni false hanno una lunga tradizione. Saddam Hussein, Muammar Gheddafi, i leader dell'Unione Sovietica e dei suoi Stati satellite, le giunte militari latinoamericane sono solo alcuni degli esempi nella seconda metà del secolo scorso. Più di recente, il tiranno della Corea del Nord, Kim Jong-il, Hugo Chávez e Nicolás Maduro in Venezuela, Vladimir Putin in Russia o Aleksandr Lukascenko in Bielorussia sono stati protagonisti di elezioni fraudolente.

Un caso estremo lo offre Daniel Ortega in Nicaragua. Qualche anno fa Ortega sostenne, di fronte alla Corte suprema del suo paese, che il diritto a essere rieletti a tempo indefinito è un diritto umano fondamentale. Questa bestialità venne accettata dai magistrati (che ovviamente erano al servizio del dittatore, visto che era stato a lui a metterli su quello scranno). Come era inevitabile, i tribunali internazionali che hanno preso in esame questa aspirazione l'hanno dichiarata non valida, ma non è bastato a fermare Ortega. Nel 2011, da presidente, violò la Costituzione e si presentò candidato a un terzo mandato. Vinse quell'elezione usando trucchi e stratagemmi.

Qualche settimana fa lo ha fatto di nuovo: si è proclamato vincitore, con una maggioranza schiacciante, dell'elezione che lo lascia alla presidenza per un quarto mandato. Questa vittoria è stata possibile grazie alla repressione e agli abusi. Ortega, un leader marxista che negli anni 70 contribuì, attraverso la lotta armata, al rovesciamento della dittatura di Anastasio Somoza, oggi, a 75 anni, si è trasformato in un tiranno classico, l'uomo forte che da vent'anni governa con pugno di ferro uno dei Paesi più poveri al mondo. Il suo marxismo giovanile contrasta con l'opulenza attuale in cui vivono lui e i suoi familiari.

A Ortega piacciono le elezioni, sempre che possa incarcerare i principali esponenti dell'opposizione, imprenditori, giornalisti, studiosi, attivisti sociali e leader studenteschi. Li ha messi tutti in galera, compresi sette candidati alla presidenza. E ha anche represso brutalmente le manifestazioni di piazza che denunciavano la corruzione del suo governo e chiedevano cambiamenti. L'uso abusivo delle risorse pubbliche a favore della sua campagna elettorale, la coercizione dei dipendenti pubblici, la censura dei social media e il ferreo controllo delle forze armate sono gli ingredienti del tipo di elezioni che piace al tiranno.

Le elezioni fraudolente non solo obbligano un popolo intero a continuare a vivere con leader e politiche che aggravano ancora di più la miseria, la diseguaglianza e l'ingiustizia. Servono anche per mostrare fino a che punto la comunità internazionale sia sprovvista di strategie in grado di rendere più costoso e rischioso attentare contro la democrazia in un determinato Paese. Gli Stati Uniti, l'Unione Europea e la maggioranza dei Paesi americani hanno denunciato aspramente gli abusi e le illegalità commessi da Daniel Ortega. Gli Stati Uniti hanno minacciato ulteriori sanzioni contro i capi e i maggiori beneficiari del mostruoso regime nicaraguense.

Nulla di tutto questo indurrà Ortega a cedere il potere. Perché è l'incarnazione di quella osservazione di George Orwell: "Sappiamo che nessuno prende il potere con l'intenzione di lasciarlo".

Paradossalmente, la democrazia è basata sul contrario, sulla premessa che il potere dei governi liberamente eletti dal popolo in consultazioni eque dev'essere limitato nel tempo. Le democrazie più longeve e consolidate sono riuscite a instaurare leggi, istituzioni e regole che frenano i tentativi dei governanti di concentrare un potere eccessivo nelle proprie mani e perpetuarsi alla guida del Paese. Altri Paesi, invece, hanno leader che danno per scontato che il potere, una volta conquistato, non si abbandona.

Così, quello a cui stiamo assistendo nel mondo è che alcuni presidenti, appena eletti, cominciano a darsi da fare per cercare il modo di mantenersi al potere e minare e indebolire quei pesi e contrappesi che sono il tratto distintivo della democrazia.

Traduzione di Fabio Galimberti