Moisés Naím

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Il prezzo del sangue

La Reppublica / Moisés Naím con traduzione da Fabio Galimberti

Ogni anno sono circa mezzo milione le persone che vengono assassinate in tutto il mondo. Naturalmente, queste morti hanno effetti devastanti sulle famiglie delle vittime e su chi voleva loro bene. Ma ci sono anche uccisioni che fanno sentire i loro effetti ben al di là della cerchia dei parenti e degli amici, e cambiano il mondo. Questi omicidi trascendentali possono rivelarsi molto costosi. L'esempio più famoso è l'assassinio nel 1914 dell'arciduca Francesco Ferdinando d'Austria a Sarajevo. La sua morte mise in moto una serie di eventi che portarono allo scoppio della Prima guerra mondiale e alla morte di 40 milioni di persone.

In tempi recenti, ci sono stati altri omicidi costosi, come quello del giornalista saudita Jamal Khashoggi nell'ottobre del 2018 e quello del generale iraniano Qassem Soleimani il 3 gennaio 2020.

Le due vittime sono diversissime tra loro, ma hanno una cosa importante in comune: tutte e due sono state uccise da un governo che ha ordinato la loro esecuzione. Il giornalista saudita è stato ammazzato dal suo stesso governo, mentre l'uccisione del generale iraniano è stata ordinata dal presidente degli Stati Uniti. Mentre Donald Trump celebra apertamente la sua decisione di eliminare il feroce militare iraniano, il principe della corona dell'Arabia Saudita, Mohammed bin Salman, nega qualsiasi coinvolgimento nell'uccisione di Khashoggi, che è avvenuta all'interno del consolato saudita a Istanbul. Il principe dà la colpa a esponenti fuori controllo dei suoi servizi segreti, alcuni dei quali sono già stati incriminati, processati e condannati a morte, ma gli investigatori del governo turco, e anche quelli del New York Times , sono giunti alla conclusione che il sequestro, l'omicidio e lo smembramento del giornalista sono stati effettuati da agenti vicini a Mohammed bin Salman, che erano andati fino a Istanbul proprio per quello scopo. Il trentaquattrenne principe ha chiaramente sottovalutato le conseguenze che avrebbe avuto l'omicidio sulla reputazione sua e del suo Paese. Jamal Khashoggi è già diventato un simbolo dei pericoli estremi che affrontano quei giornalisti che sfidano regimi autoritari pronti a uccidere chi li critica.

Per quanto riguarda l'assassinio del generale Soleimani, è troppo presto per sapere quali saranno tutte le ricadute, ma non c'è dubbio che saranno importanti. Finora la reazione di Teheran è stata moderata, e sia la guida suprema iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei, sia il presidente Trump mostrano di voler evitare una escalation militare. Ma è rischioso dare per scontato che la risposta iraniana rimarrà limitata al lancio di undici missili contro due basi americane in Iraq, che non hanno causato né vittime né danni materiali gravi. Teheran di solito non risponde immediatamente alle aggressioni dei suoi avversari, ma preferisce aspettare di attaccarli dove e quando meno se lo aspettano. Per esempio, nel 2012 un importante scienziato iraniano, il cui lavoro aveva importanti risvolti militari, venne assassinato e il governo di Teheran accusò Israele: qualche tempo dopo, furono attaccati diplomatici israeliani in Georgia, India e Thailandia, Paesi che non avevano nulla a che vedere con l'omicidio dello scienziato iraniano. Nel 1992 Israele uccise un leader di Hezbollah: due mesi dopo, un attentatore suicida sostenuto dall'Iran guidò un camion carico di esplosivi contro l'ambasciata dello Stato ebraico a Buenos Aires, provocando 29 vittime.

Le ripercussioni della decisione di assassinare Soleimani saranno tante e varie, ma due sono già evidenti. La prima è che la presenza militare statunitense in Medio Oriente si espanderà, almeno nel breve termine. «Riportare i soldati a casa» era una promessa elettorale ed è ancora uno slogan largamente usato dal presidente Trump. Questa promessa, che già si stava dimostrando difficile da realizzare, ormai sembra fuori portata. Il secondo effetto dell'omicidio di Soleimani è che l'accordo sul nucleare iraniano, in cui la Repubblica islamica prometteva di limitare il suo programma nucleare, è morto. Anzi, l'Iran ha già annunciato che comincerà ad arricchire l'uranio oltre i limiti concordati, cosa che non aveva più fatto dopo aver firmato l'accordo del 2015. L'assassinio del generale iraniano ribadisce anche (non che fosse questa l'intenzione) una lezione importante per i nemici dell'America, e cioè che devono avere armi nucleari se vogliono difendersi. Sanno che Trump non tenterebbe mai quello che ha fatto in Iran con la Corea del Nord, per esempio, perché Kim Jong-un, il leader nordcoreano, è in grado di rispondere con un attacco nucleare. Questo è solo un esempio di come l'omicidio di Soleimani potrebbe incoraggiare la proliferazione nucleare, e rappresenta un pericolo per tutti noi.

La storia dimostra che le reazioni delle grandi potenze agli attacchi spesso e volentieri hanno conseguenze più durature degli attacchi stessi. Per esempio, gli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti costarono ad al Qaeda, secondo le stime, 500.000 dollari e provocarono circa 3.000 vittime. La reazione di Washington scatenò le guerre in Iraq e in Afghanistan, le più lunghe nella storia degli Stati Uniti, con centinaia di migliaia di vittime tra soldati e civili in vari Paesi e costi economici indicibili.

L'eliminazione di Soleimani, indubbiamente un pericoloso terrorista, porterà sicuramente qualche beneficio agli Stati Uniti e ai loro alleati. Ma avrà anche costi importanti, molti dei quali inaspettati e per il momento invisibili. L'omicidio del generale iraniano ha ottime probabilità di diventare costosissimo.

Traduzione di Fabio Galimberti

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