Usa, la transizione verde di Biden
La Reppublica / Moisés Naím con traduzione da Fabio Galimberti
"Joe Biden vuole abolire tutta l'industria petrolifera americana". Lo aveva detto Trump ai suoi seguaci in un comizio in Pennsylvania alla fine del 2020, due settimane prima delle elezioni presidenziali. Nei suoi discorsi elettorali, Trump aveva irriso spesso anche Alexandria Ocasio-Cortez, la giovane e carismatica deputata del Bronx che è tra le più eminenti sostenitrici del Green New Deal, un'ambiziosa iniziativa che punta a trasformare il settore energetico Usa rendendolo più ecologico.
Parlando dalla Casa Bianca durante la campagna, il presidente ha detto che il Green New Deal "ucciderebbe milioni di posti di lavoro, cancellerebbe i sogni degli americani più poveri e danneggerebbe in maniera sproporzionata le minoranze. Io non lo sosterrò". Il suo messaggio principale, naturalmente, era che eleggendo Biden - "uno strumento dei radicali" - la Ocasio-Cortez e i suoi alleati estremisti avrebbero potuto procedere con il lor Green New Deal "socialista".
Trump con la sua amministrazione ha adottato il principio del "predominio energetico americano", un approccio che puntava in particolare sull'espansione della produzione di carbone e petrolio e su un drastico allentamento delle normative ambientali, in particolare quelle pensate per contrastare il riscaldamento globale. Fedele a questa linea, Trump aveva portato avanti una campagna senza precedenti, revocando oltre ottanta normative ambientali su inquinamento atmosferico, acqua e trivellazioni petrolifere, per lo più adottate durante l'amministrazione Obama. Oltre a questo, aveva ritirato gli Stati Uniti dall'accordo sul clima di Parigi e aveva concesso all'industria energetica americana un'influenza smisurata sul Governo federale: aveva addirittura messo a capo delle agenzie di regolamentazione lobbisti del settore che prima erano la controparte di quelle agenzie, e che torneranno a esserlo una volta concluso il loro mandato.
Durante la campagna elettorale, Trump non ha perso una sola occasione per denunciare il socialismo di Joe Biden. Finora, però, le dichiarazioni del futuro presidente, e soprattutto le sue decisioni, indicano che si tratta di un centrista che non punta a portare avanti un programma radicale. Se la politica energetica di Trump era incentrata sul "predominio energetico", quella di Biden è incentrata sulla "transizione energetica", un piano per decarbonizzare le centrali elettriche americane nei prossimi quindici anni e fare in modo che l'economia Usa arrivi a zero emissioni da qui al 2050.
La transizione energetica promossa da Biden, per cui la nuova amministrazione progetta di stanziare duemila miliardi di dollari, fa forte affidamento sul gas per facilitare un minore utilizzo di combustibili altamente inquinanti come il carbone e il petrolio. Questo approccio riflette un consenso diffuso e relativamente recente tra politici, dirigenti pubblici e privati, esperti e organizzazioni della società civile sul futuro dell'energia, le sue fonti, i suoi impieghi e i principi economici di fondo del settore. Il consenso è che l'epoca in cui petrolio e carbone erano le fonti primarie di energia è prossima alla fine. La domanda non è se questo scenario si concretizzerà, ma quanto rapidamente. Questo, a sua volta, dipende da una miriade di fattori, legati in particolare alla tecnologia, la politica e l'economia. E naturalmente dipende in larga misura da chi guiderà il cambiamento e quanta forza avranno coloro che vi si oppongono.
Un vecchio adagio della politica americana è che "il personale è politica", nel senso che il personale, cioè gli individui selezionati per mettere in atto le politiche decise dal Governo, sono altrettanto importanti, se non di più, delle politiche stesse. E le decisioni di Biden in questo ambito rispecchiano chiaramente il suo profilo moderato. Il nome più illustre fra queste nomine è quello dell'ex senatore, segretario di Stato e candidato presidenziale John Kerry come inviato internazionale del presidente per il clima e membro del suo Consiglio di sicurezza nazionale, una posizione importante.
Gina McCarthy, stimata ex direttrice dell'Epa, l'Agenzia per la protezione dell'ambiente, sarà il corrispettivo di Kerry sul fronte interno, mentre Michael Regan, un esperto di regolamentazione ambientale, dirigerà appunto l'Epa. Jennifer Granholm, l'ex governatrice del Michigan che ha lavorato a stretto contatto con le case automobilistiche per il rilancio del settore delle quattro ruote, i parametri di emissioni e i veicoli elettrici, sarà la segretaria all'Energia, mentre Pete Buttigieg, il trentottenne sindaco di South Bend, nell'Indiana, che non fa mistero di nutrire ancora ambizioni presidenziali, sarà il segretario ai Trasporti, un dicastero cruciale per le questioni climatiche e perno del grande progetto di "infrastruttura verde" di Biden.
Ma non saranno solo Joe Biden e la sua squadra a decidere la politica energetica dell'America. Anche il Congresso, i giudici e le grandi imprese giocheranno un ruolo fondamentale. Il Partito democratico oggi controlla, per la prima volta dal 1995, la presidenza, il Senato e la Camera dei rappresentanti. Questo controllo sicuramente faciliterà l'approvazione delle leggi di cui Biden ha bisogno per la transizione energetica, ma non è prudente dare per scontato che la politica non interferirà, o che i giudici non prenderanno decisioni che potrebbero ritardare o bloccare del tutto la transizione. Anche i colossi del comparto energetico, che hanno il capitale, la tecnologia e le capacità gestionali necessari per tradurre in pratica la transizione, avranno un impatto enorme sul modo in cui verrà attuata. Come quasi tutte le iniziative di Donald Trump, la sua politica del predominio energetico è stata un clamoroso fallimento. La transizione energetica di Biden ha molte più chance di riuscire. Speriamo che sia così. Potrebbe andarne del futuro del pianeta.
(Traduzione di Fabio Galimberti)