I 7 fattori che hanno cambiato il settore
World Energy & Oil / Moisés Naím
Il settore globale della raffinazione petrolifera sta vivendo un periodo di profonde trasformazioni. Ecco sette importanti cambiamenti evidenziati negli ultimi anni.
1. IL SETTORE È IN MOVI- MENTO.
Sebbene il numero di raffinerie ubicate in nazioni industrializzate sia in calo, nuove strutture proliferano in tutto il mondo in via di sviluppo. Questo spostamento geografico è riconducibile a due fattori principali. Innanzitutto una variazione nell’andamento della domanda. Secondo le stime dell’OPEC, la domanda di prodotti petroliferiraffinati nella regione Asia-Pacifico crescerà di circa il 2 percento annuo fra il 2015 e il 2020, a fronte di una stagnazione o addirittura un lieve declino in Europa e negli Stati Uniti nello stesso periodo.In parte come reazione a questa tendenza, fra il 2011 e il 2015 i Paesi in via di sviluppo aumenteranno la propria capacità di raffinazione di circa 6,9 milioni di barili al giorno. In netto contrasto con questo scenario, per l’Europa e gli Stati Uniti si prevede un mero incremento di 1 milione di barili al giorno. Il secondo motivo alla base della chiusura degli impianti è la contrazione dei margini di profitto perle raffinerie nei mercatisviluppati, dove questo settore sta diventando economicamente insostenibile. Uno studio condotto dalla società di consulenza A.T. Kearney stima che una raffineria su cinque negli USA e in Europa è destinata a cessare la propria attività nei prossimi cinque anni (vedi pag 14).
2. L’ASSETTO PROPRIETARIO STA CAMBIANDO.
Le compagnie petrolifere internazionali (IOC) hanno gradualmente abbandonato il settore della raffinazione, cedendo il posto all’espansione delle società nazionali (NOC), attualmente impegnate nella costruzione di nuovi impianti, non solo nelle zone di produzione del petrolio, ma anche nei Paesi consumatori. Nei loro Stati, le grandi compagnie petrolifere nazionali sono spesso considerate un incentivo alla creazione di nuovi settori, nuovi posti di lavoro e valore aggiunto alle esportazioni di greggio. Pertanto, ampliare la capacità di raffinazione installata rappresenta uno sviluppo naturale dell’attività delle NOC. L’Arabia Saudita è un esempio calzante di questa tendenza. Khalid al-Falih, Ad di ARAMCO, ha affermato che il suo Paese intende diventare il principale raffinatore di petrolio al mondo nel medio termine. E non è il solo a crederlo. Nel suo recente discorso di commiato da capo della African Refiners Association, Anabela Fonseca ha dichiarato con rinnovata fiducia che l’“Africa sta crescendo”. È vero: dalla Nigeria al Sudafrica, sono molti i progetti per la creazione di nuove raffinerie, alcune già in fase di costruzione.
3. NUOVE FONTI DI ALIMEN- TAZIONE ENERGETICA.
Capita spesso che le raffinerie siano costrette a lavorare petrolio di qualità inferiore, poiché il greggio disponibile in quantità sempre maggiori tende a essere più pesante e “non convenzionale”, tanto da richiedere speciali tecnologie di produzione e raffinazione. Attualmente, il greggio più lavorato ha una qualità mediamente inferiore rispetto al passato, è più viscoso e presenta un maggiore contenuto di metalli, fra cui anche lo zolfo. Negli ultimi dieci anni, ingenti volumi del pesante greggio di Messico, Venezuela, Canada e Arabia Saudita hanno soppiantato quello più leggero e di qualità migliore. In talsenso, le raffinerie devono disporre di attrezzature altamente tecnologiche per eseguire trattamenti di cracking – inclusi processi di desolforazione, decomposizione termica (visbreaking) e cracking idrogenante – per ridurre la viscosità, scindere le molecole pesanti in componenti più leggeri, estrarre lo zolfo e gli altri metalli. Talvolta, il petrolio pesante e non convenzionale richiede impianti a conversione profonda specifici, sofisticati ed estremamente costosi per generare prodotti commercialmente redditizi. Questo va chiaramente ad aggiungersi alla pressione che sta già spingendo molte raffinerie a chiudere i battenti.
4. LA RAFFINAZIONE È SEM- PRE PIÙ “VERDE”.
Con i governi di tutto il mondo impegnati a varare normative di tutela dell’ambiente sempre più severe, le raffinerie non hanno avuto altra scelta, se non diventare più “verdi”. In particolare, le rigorose norme nazionali sull’inquinamento e il controllo delle emissioni hanno innescato un ciclo di profondi cambiamenti. In linea con questo nuovo quadro legale, ad esempio, la percentuale di olio combustibile nel mix di raffinazione globale è scesa dal 25 percento nel 1979 a circa il 10 percento nel 2011. Al contempo, gli impianti di cogenerazione sono molto meno inquinanti delle tradizionali centrali elettriche. Ciononostante, è inevitabile che gli sforzi per costruire raffinerie petrolifere eco-compatibili si scontrino con la realtà dei fatti: il petrolio di scarsa qualità disponibile per la raffinazione è più inquinante. Da questo presupposto hanno preso vita numerose iniziative finalizzate a ridurre l’impronta ambientale del settore della raffinazione. Un esempio promettente di questo nuovo trend è quello delle “bio-raffinerie”: sviluppate sulla falsa riga degli impianti petroliferi tradizionali, queste strutture integrano tecnologie d’avanguardia e processi di conversione della biomassa per produrre combustibili, sostanze chimiche, mangimi, materiali ed energia da fonti non tradizionali. Recentemente due società del New Mexico, Tesoro Corporation e Sapphire Energy Inc., hanno unito le forze per costruire una raffineria capace di processare alghe marine. Un altro esempio incoraggiante è il cosiddetto Ecofining, un processo sviluppato congiuntamente da Eni SpA e Honeywell UOP, che utilizza la tecnologia di trattamento catalitico a idrogeno (hydroprocessing) per convertire oli naturali e grassi animali non commestibili in diesel pulito. Questo processo è già stato applicato da Emerald Biofuels, in Louisiana, per la realizzazione di un impianto diraffinazione. Ma l’esempio forse più evidente della nuova tendenza verso la costruzione di raffinerie eco-sostenibili arriva dall’Italia, dove Eni è impegnata in un progetto da 125 milioni di dollari per trasformare l’impianto petrolifero di Venezia in una bio-raffineria, che produrrà diesel da biocombustibili. La conclusione dei lavori è prevista per fine 2013.
5. LA RIVOLUZIONE DELL’EF- FICIENZA.
La necessità diridurre i costi per compensare la contrazione dei margini di profitto, unitamente all’inasprimento dei requisiti ambientali e alle nuove opportunità offerte dalle tecnologie di ultima generazione, ha spinto al rialzo l’efficienza media delle raffinerie. Una prova evidente è senza dubbio l’utilizzo più proficuo dell’energia. Gli impianti di cogenerazione, menzionati in precedenza, non solo generano elettricità, ma sono stati progettati anche per immagazzinare il calore, che viene quindi riciclato all’interno della struttura o fornito alle comunità nelle aree limitrofe. Questo processo può raggiungere un’efficienza pari anche all’80 percento, rispetto al 40- 50 percento di cicli combinati, turbine a gas e impianti a carbone. Una delle principalistrutture di questo genere si trova a nord dell’Inghilterra, dove funge da centrale di approvvigionamento per le vicine raffinerie di Lindsey e Humber, utilizzando il 20 percento di combustibile in meno rispetto agli stabilimenti tradizionali. Un altro esempio è il complesso di raffinazione più vasto del mondo – quello di Jamnagar, in India – dove i limiti ambientali e la necessità di lavorare greggio pesante hanno sostenuto un’importante espansione, che eguaglia ormai le principali economie di scala, basata su questi progetti innovativi che riducono sia gli investimenti sia i costi di gestione. Il risultato: il settore della raffinazione non è mai stato così efficiente e pulito prima d’ora.
6. NUOVE CONFIGURAZIONI SOCIETARIE.
Le compagnie petrolifere nazionali e internazionali, le raffinerie indipendenti e dedicate, ma anche i governi nazionali, stanno stipulando nuove forme di collaborazione e accordi produttivi. Sebbene storicamente fossero le società petrolifere internazionali a possedere impianti di raffinazione ubicati nei Paesi consumatori, oggigiorno stiamo assistendo a una crescente interconnessione di interessi, che dà vita a nuove forme societarie per rispondere alle moderne necessità commerciali e di sicurezza energetica che riguardano indistintamente Paesi produttori e consumatori. Un buon esempio in questo senso è la raffineria del gruppo Motiva Enterprises LLC, situata a Port Arthur, Texas. Si tratta dell’impianto più grande degli Stati Uniti, gestito congiuntamente da una compagnia petrolifera nazionale – la saudita Aramco – e dal colosso internazionale Royal Dutch Shell, e ubicata in un Paese terzo, ovvero gli Stati Uniti. Questa organizzazione consente all’Arabia Saudita di assicurarsi un mercato stabile per il suo greggio pesante. Da parte loro, gli Stati Uniti possono contare su un rapporto commerciale consolidato con il principale produttore petrolifero mondiale, aumentando così la propria sicurezza energetica, mentre Royal Dutch Shell espande la sua presenza su entrambi i fronti, stringendo da un lato una partnership con il produttore e proponendosi, dall’altro lato, come operatore chiave nel segmento della raffinazione statunitense. Accordi di questo tipo – dove partnerspinti da motivazioni diverse trovano un compromesso per sviluppare iniziative comuni – sono ormai all’ordine del giorno.
7. UN CAMBIAMENTO DELLA DOMANDA RICHIEDE MO- DELLI DIVERSI.
Le nuove raffinerie si stanno già adattando ai cambiamenti nelle preferenze dei consumatori. Il diesel, ad esempio, rappresenterà il 60 percento della domanda addizionale di prodotti raffinati a livello globale entro il 2035. Questo trend è ascrivibile non solo alla crescente quota di mercato del diesel come carburante per auto e camion, ma anche dal suo impiego sempre più frequente come combustibile navale (bunker fuel). Ecco perché le nuove raffinerie saranno configurate per produrre più diesel e meno benzina,riducendo in modo significativo i volumi di prodotti pesanti come l’olio combustibile.
Per gran parte del 20° secolo, si è creduto che tecnologia, modelli di costo, natura della domanda e altre considerazioni su rischi e profitti avessero causato – in modo quasi naturale e pressoché inevitabile – l’assorbimento delle raffinerie nelle strutture societarie di compagnie petrolifere verticalmente integrate. Ovviamente esistevano anche raffinerie indipendenti, ma erano più che altro l’eccezione che conferma la regola. Nella maggior parte dei casi, le grandi società petrolifere possedevano e controllavano le attività di raffinazione come passaggio aggiuntivo nella catena di lavorazione che dall’esplorazione portava alla vendita al dettaglio di idrocarburi.
Oggigiorno, lo scenario appare completamente diverso: sebbene il concetto di raffineria, verticalmente integrata, sia ancora un elemento chiave del panorama settoriale, nuovi player, accordi commerciali, strutture proprietarie, ubicazioni e innovazioni tecnologiche stanno estendendo l’attività di raffinazione a luoghi e contesti finora inesplorati.