Moisés Naím

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Il nuovo Artico: come interpretarlo. E come ripensarlo

Moisés Naím / World Energy & Oil

Lo scioglimento delle banchise nell’Artico non sta solamente cambiando il paesaggio geografico della regione del Circolo Polare, ma sta trasformando anche lo scenario politico, il dialogo e i processi decisionali a livello globale. L’abbondanza di petrolio, gas e ricchezze minerali, nonché di energia eolica, geotermica e delle maree, hanno reso l’Artico uno degli argomenti di discussione più critico e una regione interessata da accese dispute. Ecco le quattro forze principali che hanno cambiato il modo in cui dobbiamo pensare all’Artico: i cambiamenti climatici; un’irrefrenabile ricerca globale dirisorse; l’emergenza di nuovi e influenti stakeholder e nuove tecnologie.

CAMBIAMENTI CLIMATICI
Per molti decenni, i cambiamenti climatici hanno causato gravi disagi all’ambiente artico – l’aumento delle temperature, il ritiro delle banchise, lo scioglimento dei ghiacciai e del permafrost –ne hanno drasticamente cambiato il terreno. Le implicazioni dei cambiamenti climatici hanno spinto governi e aziende a prestare più attenzione ai potenziali benefici che l’Artico potrebbe offrire in termini di trasporto, turismo, pesca e sfruttamento delle sue vaste riserve dirisorse naturali. Anche scienziati, organizzazioni multilaterali e attivistisono sempre più presenti in questa regione.

Sebbene le acque dell’Artico non saranno completamente prive di ghiaccio e navigabili tutto l’anno, i mesi in cui diverranno praticabili avranno certamente un impatto sul settore dei trasporti navali. L’apertura delle acque potrebbe innescare lo sviluppo di nuove importanti rotte commerciali, riducendo le distanze, i tempi di viaggio e i costi dei trasporti intercontinentali. Inoltre, lo scioglimento dei ghiacci offrirà nuove opportunità di “turismo polare”, di pari passo con lo sviluppo di attività di esplorazione e sightseeing.

In futuro, i cambiamenti climatici trasformeranno l’Artico in una zona più accessibile, rafforzando l’interesse per le sue ricchezze petrolifere, di gas e di minerali. Tutto ciò comporta inevitabilmente anche deirischi. Il più imminente è la minaccia che queste nuove attività pongono agli attuali abitanti della regione, in particolare ai gruppi indigeni come gli Inuit. Con la progressiva affermazione di un’economia dell’Artico, è venuta a delinearsi una corrispondente diffusione di nuove malattie ed epidemie. Ad esempio, da una relazione pubblicata nel 2011 dall’Institute for Applied Circumpolar Policy della University of the Arctic emerge che una maggiore diffusione di malattie trasmesse da zecche, tularemia e contaminanti come il mercurio, nonché una crescente esposizione a cimiteri animali (e potenzialmente all’antrace) possono creare situazioni pericolose per la salute pubblica.

Tuttavia, una regione artica trasformata dai cambiamenti climatici e dall’attività umana non pone rischisolamente alle popolazioni locali. I cambiamenti dell’Artico non rimarranno certo confinati a questa regione: influenzeranno l’intero pianeta. Gli effetti dell’erosione delle coste e dello scioglimento dei ghiacci stanno già manifestando la loro portata globale. Si può senza dubbio supporre che altre conseguenze indesiderate dei cambiamenti nell’habitat polare saranno percepibili anche in futuro.

L’Artico non è mai stato un ambiente statico, ma negli ultimi vent’anni i suoi cambiamenti sono divenuti più complessi, variegati e rapidi. E nei decenni a venire, l’Artico è destinato a cambiare in modo ancora più profondo rispetto ai secoli scorsi. Le conseguenze saranno promettenti, ma anche disastrose.

UNA NUOVA FRONTIERA PER PETROLIO, GAS E MINERALI
L’Artico vanta ingenti riserve di preziose risorse naturali, come petrolio, minerali, pesce e persino foreste. Nel 2008, l’U.S. Geological Survey ha pubblicato un rapporto secondo cui il petrolio inesplorato a nord del Circolo Polare Artico potrebbe corrispondere addirittura a un terzo delle riserve mondiali complessive, mentre i giacimenti di gas potrebbero rappresentare il 12 percento del totale mondiale. La produzione petrolifera dell’Artico avviene soprattutto in Alaska e nel nord della Russia. Le ricchezze minerali concentrate in questa regione includono il combustibile fossile più abbondante al mondo – il carbone –, ma anche minerali ferrosi, nichel, cobalto, titanio, bauxite, zinco, piombo, rame, oro, argento, platino e diamanti. Lo stock ittico dell’Artico comprende gamberi, granchi della neve, merluzzi, aringhe e sardine, ed è presente anche un’attività di coltura disalmoni e trote. Nonostante gran parte dell’Artico sembri un deserto polare, la vegetazione non manca, come dimostrano le formazioni di arbusti. La foresta boreale,seppure incolta, è la foresta naturale più grande della Terra. Nonostante sia comunque interessata da attività agricole e di disboscamento, regolamenti ambientali molto severi ne hanno finora limitato lo sfruttamento.

Tutte queste preziose materie prime attirano l’interesse non solo dei Paesi che rivendicano diritti nella regione, ma anche di potenziali investitori di Stati non artici. Ad esempio, la Russia potrebbe concedere alle società occidentali licenze petrolifere nelle sue acque artiche e trasformarsi così nel secondo principale produttore di greggio del mondo. Nel 2012, ArcelorMittal – la più grande acciaieria del mondo – ha ottenuto l’autorizzazione per avviare un progetto da diversi miliardi di dollari finalizzato allo sviluppo della prima miniera di minerali ferrosi sull’Isola di Baffin, nel territorio artico di competenza del Canada. A causa delle condizioni ostiche, si tratta del primo e più vasto progetto minerario mai realizzato nella gelida regione artica.

Nonostante l’Artico custodisca immense riserve di idrocarburi e risorse naturali e minerali, è estremamente difficile tradurre questo potenziale in realtà. Rimangono infatti aperte diverse questioni critiche di tipo ambientale, tecnologico, politico e istituzionale riguardo alle modalità di sfruttamento dell’Artico.

NUOVI STAKEHOLDER
La gestione dell’Artico è un problema complesso, a partire dal fatto che l’organo principale preposto al coordinamento delle molteplici nazioni, popolazioni e organizzazioni che rivendicano diritti nella regione è sopraffatto da pressanti richieste di intervento, a fronte di una capacità limitata di soddisfare le pretese di ciascuna parte coinvolta.

Il Consiglio Artico è costituito da otto Paesi con sovranità territoriale su parti della regione, organizzazioni di popolazioni indigene ed entità intergovernative e non governative. I Paesi membri del Consiglio – Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Stati Uniti – non sono però le uniche nazioni attivamente coinvolte nell’Artico. Stanno infatti emergendo ambizioni geopolitiche anche da parte di Stati non membri, come Unione Europea, Giappone, Corea del Sud e Cina. Un potenziale boom delle risorse nell’Artico sarebbe particolarmente interessante per le economie emergenti di Cina e India, ben note per la loro “fame di energia”. Nell’agosto 2012, ad esempio, la Cina si è autoproclamata uno “Stato vicino all’Artico”. Nel tentativo di garantirsi l’accesso alle risorse della regione, il gigante asiatico sta approfondendo le sue già estese relazioni diplomatiche con i Paesi membri del Consiglio Artico. La Cina ha inoltre sottoscritto degli accordi lucrativi per l’energia geotermica con Islanda e Groenlandia. Il Consiglio Artico, da parte sua, è radicalmente cambiato dalla costituzione nel 1996, e ha assunto nel tempo nuovi ruoli quali, ad esempio, la negoziazione di accordi per rimediare alle perdite di petrolio e l’esecuzione di studi sui trasporti e sui cambiamenti climatici.

È importante sottolineare che questi Paesi non sono gli unici stakeholder coinvolti nella politica di gestione del Circolo Polare Artico. Anche le società multinazionali – l’americana Exxon, l’italiana Eni, la norvegese Statoil e le russe Rosneft e Gazprom – si stanno impegnando attivamente nella regione con progetti di esplorazione di giacimenti di idrocarburi. Il settore marittimo (società di trasporto, società di perforazione offshore, compagnie di crociera, settore ittico e organizzazioni di reazione contro le perdite di petrolio), così come le compagnie di assicurazione marittima, stanno acquisendo una sempre maggiore influenza, mentre nuovi gruppi di scienziati da tutto il mondo e organizzazioni non governative si moltiplicano a vista d’occhio.

Come gestire e organizzare questo boom di attività in un ambiente così fragile e mutevole? Al momento, il fulcro dei dibattiti politici rimane il Consiglio Artico con i suoi membri. Tuttavia, sono molte anche le iniziative che si occupano delle più svariate tematiche: conservazione della flora e della fauna dell’Artico; protezione dell’ambiente marino; valutazione della biodiversità artica; cambiamenti climatici; sviluppo umano. Le otto nazioni dell’Artico collaborano con altri Paesi (compresi Stati osservatori permanenti e ad hoc), ONG, multinazionali, entità intergovernative e popolazioni indigene per proteggere la regione da una cattiva gestione e da un eccessivo sfruttamento. Con il progresso tecnologico e sistemi di estrazione delle risorse sempre più efficienti, le ambizioni politiche ed economiche di tutti gli stakeholder coinvolti influenzeranno la direzione dei negoziati e delle attività diplomatiche. Non è ancora chia ro in che modo queste dinamiche si ripercuoteranno sulle politiche globali, dal momento che il Consiglio Artico è ancora alla ricerca della strategia giusta perrispondere al meglio alle crescenti responsabilità che è chiamato ad assumersi e alle sfide che lo attendono in futuro. Gli appellirivolti al Consiglio Artico crescono più rapidamente della sua capacità di rispondervi in modo adeguato.

NUOVE TECNOLOGIE
L’ampliamento delle possibilità di operare nella regione artica alla ricerca dei suoi tesori è stato guidato anche da una vera e propria esplosione dell’innovazione tecnologica. Tecnologie d’avanguardia rivelano nuove opportunità, ma creano anche nuovi problemi per l’Artico. Veicoli a controllo remoto, equipaggiati con videocamere ad alta definizione, hanno consentito agli scienziati di raccogliere campioni e identificare numerose creature mai scoperte finora. Anche tecniche più sofisticate di carotaggio, per estrarre cilindri di ghiaccio da ghiacciai e piattaforme polari, hanno offerto agli scienziati nuove opportunità di studio delle alghe polari, ma anche degli agenti inquinanti e delle polveri, consentendo loro di comprendere in modo più approfondito la catena alimentare e i sistemi biologici della regione. Sono in corso, inoltre, collaudi su tecnologie d’avanguardia, comprese navi di perforazione in grado di operare tutto l’anno. A ciascuno di questi progressi, però, corrisponde un difetto. A dicembre 2012, ad esempio, una nave di perforazione di Shell Oil è stata oggetto di un’indagine da parte della Guardia Costiera statunitense per problemi legati alle attrezzature di controllo dell’inquinamento e alla sicurezza dell’equipaggio. La nave da perforazione Noble Discoverer è solo un esempio di come anche i sistemi più avanzati possano avere imperfezioni potenzialmente devastanti. Perfino eventuali difetti meccanici, che non rappresentano necessariamente una minaccia per l’ambiente, possono rendere problematiche le attività di ricerca e salvataggio, mettendo a rischio le squadre d’emergenza.

Proprio per la natura vergine dell’Artico, i Paesi interessati alla sua esplorazione sono particolarmente selettivi nella scelta delle società autorizzate a operare nella regione. Solo quelle più sensibili ai problemi ambientali, tecnologicamente avanzate e solide dal punto di vista finanziario sono adatte a tentare queste imprese nell’Artico. Le grandi società impegnate nell’esplorazione di risorse naturali nella regione utilizzano un’ampia gamma di tecniche e tecnologie d’avanguardia, come pozzi di perforazione, dispositivi di acquisizione di dati marittimi e strumenti di ispezione.

Il rapporto di valutazione intitolato “The Arctic Marine Shipping Assessment”, pubblicato nel 2009 dal Consiglio Artico, ha evidenziato molte delle sfide che la regione pone alle compagnie di navigazione, ma anche alcune possibili soluzioni. I mezzi di navigazione con sistemi di informazione accurati e in tempo reale, le rompighiaccio, i porti in acque profonde, le unità di ricerca e salvataggio, nonché le risorse necessarie a rispondere alle emergenze,sono ancora agli inizi. Il trasmettitore Automated Identification System (AIS), che identifica, localizza e previene elettronicamente le collisioni fra imbarcazioni, ha accelerato l’evoluzione delle spedizioni nell’Artico,sebbene non sia ancora obbligatorio per tutte le navi. Ciononostante, il continuo sviluppo di dispositivi, attrezzature, porti e imbarcazioni hi-tech amplierà ulteriormente la portata delle attività esplorative nell’Artico.

DUE SCENARI ESTREMI
Le implicazioni economiche e strategiche di un Mare Artico privo di ghiacci stanno acquisendo sempre più rilevanza, via via che i cambiamenti climatici modificano la regione, svelandone le opportunità. Una cosa è certa: un già fragile Artico è diventato ancora più vulnerabile. In passato inaccessibile e isolata dal resto del mondo, questa regione è ora a rischio, come lo sono la sua fauna, le popolazioni indigene e il paesaggio. L’Artico è esposto agli interessi di governi, aziende e istituzioni finora indifferenti, ma che devono comunque essere consapevoli delle implicazioni delle loro attività in questa regione. La definizione di una nuova frontiera dell’Artico è solo all’inizio, mentre problemi come l’erosione delle coste e i danni legati allo sviluppo industriale, ai cambiamenti climatici, all’inquinamento, all’estrazione delle risorse naturali e al disturbo del prezioso ecosistema, devono ottenere la giusta priorità ed essere monitorati con grande attenzione.

Il destino dell’Artico può evolversi in due scenari totalmente differenti. Nel primo scenario – quello che si può definire il “futuro predatorio” dell’Artico – la regione e il suo ambiente saranno inquinati, deteriorati, sfruttati all’eccesso, mentre ciascuno degli stakeholder coinvolti potrà fare i propri interessi in modo più o meno autonomo e senza alcun coordinamento reciproco. I singoli governi assumeranno la totale sovranità nello sforzo di esplorare e sfruttare l’Artico e una governance generale più o meno debole nella regione sarà la norma. Il risultato sarà un Artico dove regna l’anarchia. L’altro scenario estremo – in cui la governance globale si esprime al meglio – vedrà i governi concordare strategie efficaci e condivise di gestione della regione. I Paesi coinvolti sapranno coordinare le proprie attività, accordarsi sulle norme applicabili ai vari stakeholder e unire le proprie forze e abilità perimplementare taliregolamenti. In questo modo, la gestione dell’Artico non solo sarà armoniosa, ma anche sostenibile. In un tale scenario, la governance multilaterale condurrà con successo a uno sviluppo ordinato e a un sistema decisionale collettivo ed efficiente nell’Artico. Chiaramente, la natura utopica di quest’ultima ipotesi andrebbe a beneficio dell’intera umanità.

Questi due possibili destini saranno anche estremi e piuttosto improbabili, ma in ogni caso riflettono i limiti, i benefici e i difetti di una collaborazione efficace, così come le conseguenze di un’anarchia istituzionale. In realtà, lo scenario più verosimile vede un Artico collocato in qualche modo fra questi due estremi. Affinché il futuro dell’Artico sia più sostenibile, è necessaria una governance responsabile e condivisa, capace di creare incentivi e misure normative, ma anche istituzioni in grado di mantenere relazioni pacifiche a livello internazionale, senza spingere la regione verso un percorso di sfruttamento eccessivo e un’inevitabile distruzione. Il carattere selvaggio dell’Artico è l’esempio più attuale, calzante ed evolutivo della “tragedia dei beni comuni” , un concetto che sottolinea come l’impiego di risorse a disposizione della collettività sia maggiormente esposto al rischio di abuso e, infine, di distruzione. È nell’Artico che siritrovano gli esempi da manuale sull’inquinamento, lo sfruttamento delle risorse ittiche, la perdita di habitat , e la lista continua. I Paesi devono agire in modo razionale, ma soprattutto responsabile, quando servono i propri interessi economici e politici nell’Artico, al fine di garantire che questo ambiente e le sue risorse non siano sacrificati invano.

Ciò che accadrà nell’Artico nei prossimi decenni avrà conseguenze per ciascuno di noi.