Vero o Falso?
Moisés Naím / World Energy & Oil
Il panorama petrolifero globale è sempre stato un campo di battaglia nel quale l’intensità delle schermaglie sul fronte commerciale è superata solo dal vigore degli scontri geopolitici per ottenerne il controllo. Negli ultimi anni la situazione non è affatto cambiata. L’unica differenza riguarda i duellanti, le armi, le strategie e le tattiche che definiscono tale campo di battaglia. L’introduzione di nuove tecnologie ha avuto un impatto sulle attività di prospezione e produzione, determinando l’ingresso di nuovi operatori che si avvalgono di tattiche molto diverse e favorendo dunque alcuni produttori, tra cui gli Stati Uniti.
Gli hedge fund e le nuove forme di finanziamento hanno comportato l’avvento di altri operatori finanziari tra le nuove forze che stanno sovvertendo i mercati petroliferi.
Le compagnie petrolifere nazionali si adoperano per adattarsi alle pressioni contraddittorie esercitate dalle politiche interne dei rispettivi paesi e dalle politiche internazionali che plasmano il loro contesto di business.
Le multinazionali tradizionali affrontano l’inaspettata concorrenza di rivali di dimensioni più ridotte, ma più agili e audaci. Inoltre, i cambiamenti nelle dinamiche e nei volumi della domanda di petrolio hanno creato nuove realtà.
Al centro di questi cambiamenti rivoluzionari si colloca l’OPEC, l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, costituita 55 anni fa. L’OPEC si trova stretta nel mezzo di una battaglia di proporzioni epiche. Attualmente la sua influenza sul mercato è certamente inferiore rispetto a quella che esercitava ai tempi d’oro: nel 1974 l’OPEC rappresentava metà dell’offerta totale di petrolio nel mondo; ad oggi i suoi membri ne rappresentano un terzo e la loro quota complessiva continuerà presumibilmente a calare. L’OPEC è una specie in pericolo, condannata all’estinzione? Oppure tornerà ad avere il potere di determinare i prezzi globali del petrolio? La crisi della struttura dell’industria petrolifera mondiale ha inevitabilmente originato un vivace dibattito sul futuro dell’organizzazione. In questo articolo ho individuato alcune delle idee più diffuse che riguardano l’OPEC e ne discuterò la veridicità. Alcune affermazioni sono vere, altre no; altre ancora erano valide per il passato ma non allo stato attuale. A seguire sono riassunte sette di queste idee e la mia valutazione nel merito.
L’OPEC stabilisce i prezzi globali del petrolio
Falso, anche in riferimento al passato. Tuttavia, talvolta ha esercitato una notevole influenza nella loro determinazione. In termini di efficacia, piuttosto che di intenti o dichiarazioni pubbliche, raramente l’OPEC ha rappresentato un cartello solido. L’apice del suo potere di determinazione dei prezzi è stato raggiunto nel 1973, ai tempi dell’embargo petrolifero arabo, quando le decisioni assunte dall’OPEC contribuirono di fatto all’improvvisa quadruplicazione dei prezzi del petrolio. Il conto energetico dei paesi consumatori salì alle stelle. Da allora, l’OPEC è stata sostanzialmente incapace di esercitare un’influenza significativa sui prezzi globali del petrolio. I divergenti interessi dei paesi membri hanno reso molto difficile il mantenimento di una disciplina sui prezzi e i nuovi paesi produttori che si sono affacciati al mercato hanno rifiutato di prendere parte all’organizzazione. I rialzi dei prezzi del petrolio sono stati per la maggior parte innescati da eventi geopolitici che esulavano dalla sfera di influenza dell’OPEC. Perfino oggi, quando la decisione dell’Arabia Saudita di incrementare la produzione ha contribuito in modo significativo a mantenere ridotti i prezzi, il ruolo fondamentale non è stato svolto dall’OPEC nel suo complesso, ma da un ridotto gruppo dominante di stati del Golfo facenti parte dell’organizzazione. In realtà, la decisione di mantenere inalterati i livelli di produzione è contraria alla politica dell’OPEC, dichiaratamente volta a tutelare i prezzi tramite la gestione della produzione. Questo recente orientamento non rappresenta comunque una novità quanto piuttosto un ulteriore esempio di una chiara tendenza, ossia il fatto che il comportamento dell’OPEC è trainato dagli interessi e dalle decisioni dei maggiori produttori che ne fanno parte.
L’OPEC è destinata a scomparire
Falso. Come molte altre organizzazioni internazionali che hanno perso la rilevanza che avevano in passato, con tutta probabilità l’OPEC godrà di un’immortalità burocratica. Sebbene la sua influenza sia scemata, l’OPEC non corre il rischio di essere sciolta dai suoi membri. Concepita negli anni Sessanta da alcune menti lungimiranti del terzo mondo, l’organizzazione è stata legittimata a livello geopolitico dalla capacità che ebbe in apertura del decennio successivo di incrementare i prezzi, nonché dalle idee e dai principi espressi nella dottrina nel Nuovo ordine economico internazionale (NOEI). Tra i capisaldi di tale dottrina figura il diritto degli stati nazionali di controllare l’estrazione e la commercializzazione delle proprie risorse naturali interne, nonché la costituzione e il riconoscimento di cartelli gestiti a livello statale per stabilizzare i prezzi delle materie prime e, ovviamente, ottenere dai paesi consumatori più ricchi dei prezzi “equi” per le esportazioni. Inaspettatamente, la percezione del potere dell’OPEC è stata fortemente incentivata dalla teoria del Picco petrolifero di M. King Hubbert, che ha diffuso l’idea che il petrolio stesse iniziando a scarseggiare e che sarebbe infine venuto a mancare quasi del tutto; tale convinzione ha ulteriormente rafforzato il potere geopolitico dell’OPEC, i cui membri controllavano la maggior parte delle riserve di petrolio. Una volta sostituito il presupposto secondo cui il mondo sarebbe rimasto a corto di petrolio con la teoria di una sovrabbondanza dello stesso, l’importanza di un cartello che controllasse una materia prima tanto abbondante andò inevitabilmente a scemare. La sopravvivenza di un cartello dipende da due fattori principali: innanzitutto la scarsità della materia prima che esso controlla e, secondariamente, la necessità che i membri del cartello rispettino le quote di produzione concordate ed evitino di incrementare l’offerta superando le quote ad essi riservate, spingendo i prezzi al ribasso. Ad oggi, dinamiche e stakeholder nuovi e potenti stanno scardinando questi due requisiti. Nuove fonti di energia si stanno inserendo nel mercato a un ritmo incalzante. In Europa, il consumo di energia da fonti rinnovabili è salito dell’80 percento nell’ultimo decennio e circa il 15 percento dell’energia elettrica consumata negli USA deriva attualmente da fonti rinnovabili. Le innovazioni tecnologiche, come ad esempio le celle fotovoltaiche a film sottili, potrebbero rappresentare una vera svolta nel settore dell’energia. Il boom del petrolio e del gas di scisto, che dagli Stati Uniti si diffonderà in almeno una mezza dozzina di altri paesi, e la proliferazione di produttori di petrolio indipendenti stanno gradualmente riducendo l’importanza del ruolo dell’OPEC nel settore dell’energia globale. Tuttavia, a differenza di altre organizzazioni simili come l’Associazione dei paesi produttori di caffè (APPC) o il Consiglio internazionale dello stagno (ITC), che hanno sospeso le attività per i debiti eccessivi, l’OPEC risulta relativamente poco onerosa da mantenere per i suoi membri, economicamente molto agiati. Di conseguenza, per l’OPEC si prospetta una progressiva perdita di rilevanza piuttosto che una vera e propria scomparsa.
L’OPEC è stata fondata per mantenere la stabilità del mercato
Falso. Sebbene i suoi leader siano restii ad ammetterlo, sin dalla sua fondazione il principio guida dell’OPEC è stato la cosiddetta “difesa” dei prezzi del petrolio. Questo significava alzare i prezzi fino al livello massimo sostenibile dal mercato, evitando al contempo di superare il limite che avrebbe reso economicamente attraenti produttori rivali o nuove tecnologie (in particolare rinnovabili).
Nonostante la linea ufficiale e l’obiettivo dichiarato dall’OPEC di perseguire il difficile equilibrio tra domanda e offerta, ciò che ha in realtà influenzato le decisioni dell’organizzazione nella maggior parte dei casi è stato l’ottenimento del prezzo migliore possibile senza stimolare i rivali. Di fatto, per anni la strategia prevalente dell’organizzazione è stata quella di limitare l’output dei suoi membri per fare in modo che il mercato continuasse ad essere dominato dai venditori. Piuttosto che sulla cooperazione tra produttori e consumatori, l’OPEC ha posto l’accento su una tattica volta a mantenere un vantaggio sui maggiori paesi consumatori del mondo industrializzato, sebbene la sua strategia di pricing abbia ovviamente danneggiato i paesi consumatori delle aree in via di sviluppo.
Nel tempo, questa strategia volta a massimizzare i ricavi è divenuta inefficace, dal momento che i singoli paesi membri che avevano disperato bisogno del reddito da petrolio per rimpinguare le casse dei loro governi hanno violato apertamente le quote di produzione che avevano promesso all’OPEC di rispettare. Questo fenomeno avviene ancora oggi: i membri che hanno difficoltà economiche violano apertamente gli impegni assunti in termini di output. Anche in ragione dell’incapacità di mantenere la disciplina al suo interno, l’OPEC si appella ora a una maggiore cooperazione a livello globale tra consumatori e produttori; una mossa trainata probabilmente dalla necessità, più che da una reale convinzione.
L’Arabia Saudita continuerà ad essere il membro più influente
Vero. Per il prossimo futuro, l’Arabia Saudita non ha rivali all’interno dell’OPEC. Le sue abbondanti riserve di petrolio leggero di buona qualità con costi di produzione relativamente ridotti assicureranno al Regno la leadership all’interno dell’OPEC, sebbene sia il Venezuela - uno dei paesi fondatori dell’organizzazione - a vantare le riserve più ampie al mondo. Il petrolio pesante e di qualità inferiore del Venezuela è più costoso da produrre; inoltre, il governo venezuelano non ha saputo creare un’industria petrolifera orientata alla crescita, come dimostrato dal continuo declino della sua capacità produttiva. Le riserve di petrolio convenzionale dell’Iran sono le terze al mondo in termini di quantità, tuttavia l’industria petrolifera del paese continua a risentire della scarsa efficienza operativa e di un prolungato periodo di investimenti insufficienti. La situazione potrebbe cambiare e la leadership petrolifera dell’Arabia Saudita potrebbe essere messa in dubbio dall’instabilità politica o da eventi geopolitici che ne limiterebbero le capacità di esportazione, mentre il Venezuela e l’Iran potrebbero invece divenire più competitivi. Tuttavia, la maggior parte degli esperti concorda sul fatto che la prospettiva più probabile sarà il mantenimento, da parte dell’Arabia Saudita, del suo ruolo di primo piano all’interno dell’OPEC. La leadership del Regno è ben consolidata, non solo grazie all’efficientissima gestione della sua industria petrolifera, ma anche per la notevole influenza che esso esercita sugli alleati produttori di petrolio e gas nell’area del Golfo.
Le differenze negli interessi nazionali dei relativi membri possono essere appianate
Non più vero. Come in qualunque altra tipologia di associazione, l’armonia all’interno dell’OPEC poteva essere mantenuta senza difficoltà fintantoché i risultati erano chiaramente a favore dei paesi produttori. Il ruolo sempre maggiore dei produttori indipendenti di petrolio nel mercato globale, il boom della produzione di gas e petrolio negli Stati Uniti e la dipendenza crescente della Cina dalla Russia per il soddisfacimento del suo fabbisogno energetico hanno contribuito largamente alla perdita della quota di mercato dell’OPEC, esacerbando i contrasti interni all’organizzazione. L’attenzione dei paesi membri si è spostata dall’azione collettiva alla sopravvivenza individuale. Inoltre, la crisi finanziaria internazionale e l’economia globale anemica hanno danneggiato i membri dell’OPEC più vulnerabili da un punto di vista fiscale, che devono applicare al petrolio prezzi relativamente più elevati per far quadrare il proprio bilancio pubblico o, in alternativa, esportare un volume maggiore di greggio per ottenere gli introiti di cui hanno disperato bisogno. Il netto calo dei prezzi del petrolio iniziato nell’estate del 2014 ha indotto i membri più in difficoltà dell’OPEC a esportare il più possibile per chiudere gli enormi deficit fiscali. Chiaramente questa situazione va ad aggravare il divario tra i membri dell’OPEC che beneficiano di una solida situazione economica e i produttori di petrolio in difficoltà. I dati relativi al recente meeting dell’OPEC in cui sono stati confermati livelli di produzione più elevati dimostrano che l’Arabia Saudita, ora più che mai, è al posto di comando e che i produttori più indigenti dovranno provvedere a se stessi.
Il boom del petrolio e del gas di scisto assumerà una portata globale e indebolirà l’OPEC nel medio periodo
Vero. La maggior parte delle potenziali riserve di petrolio e gas di scisto è situata in paesi che non fanno parte dell’OPEC, in particolare negli Stati Uniti, in Messico, in Argentina e in Cina. Secondo le stime dell’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) nel 2010 tali risorse ammontavano a circa 5 trilioni di barili di petrolio estraibile, un volume oltre quattro volte superiore a quello delle riserve di petrolio dei membri dell’OPEC (circa 800 miliardi di barili). Lo sviluppo di queste risorse negli Stati Uniti ha già esercitato un impatto significativo sull’offerta globale di petrolio e sul calo dei prezzi. Quando anche gli altri paesi inizieranno a svilupparle, l’impatto assumerà una portata ancora maggiore. Inoltre, come afferma un recente editoriale del Financial Times: “L’industria statunitense del petrolio di scisto sta assumendo il ruolo di“swing producer” a livello mondiale, introducendo un quantitativo maggiore di greggio sul mercato quando i prezzi salgono e ponendo un tetto al relativo prezzo potenziale, che probabilmente si attesterà ben al di sotto dei 100 dollari a barile”. La produzione di petrolio di scisto statunitense agirà come una sorta di termostato impostato intorno ai 70 dollari a barile e controllerà il prezzo del petrolio più efficacemente di quanto l’OPEC abbia mai fatto. L’editoriale continua: “I produttori rivali dovranno adattarsi. Secondo Citigroup, per riequilibrare il rispettivo bilancio, la Russia necessita che il prezzo del petrolio sia pari a 90 dollari a barile, l’Iraq a 98, l’Arabia Saudita a 105 e l’Iran a 137 dollari. Se i prezzi del petrolio rimarranno ben al di sotto di questi livelli per un periodo prolungato, questi paesi dovranno affrontare dei cambiamenti difficili. Emergerà il rischio di instabilità politica”. Forse gli unici fattori esterni che potrebbero influire significativamente sui prezzi del petrolio sono la futurizzazione dei redditi da petrolio da parte di hedge fund e speculatori, l’acquisto massiccio di future su petrolio come copertura contro l’inflazione e l’indebolimento del dollaro USA.
L’OPEC è il principale nemico dell’ambiente
Falso. In quanto produttori di combustibili fossili, i paesi membri dell’OPEC contribuiscono indubbiamente a una larga parte delle emissioni di anidride carbonica che concorrono al riscaldamento globale. Ad ogni modo, i responsabili sono i consumatori, non i produttori. Sono colpevoli anche i governi che fino ad oggi non sono stati in grado di elaborare delle politiche di carbon pricing che creino opportuni incentivi a ridurre le emissioni. Sono infatti i governi ad avere la responsabilità di adottare e mettere in atto norme in materia di emissioni e stimolare il passaggio a una tecnologia di produzione di energia a basse emissioni di anidride carbonica. Secondo l’AIE, i livelli di energia pulita sono ancora inferiori a quelli necessari a limitare l’incremento globale della temperatura fino a 2 gradi centigradi. L’Agenzia invita a triplicare la spesa pubblica destinata alla ricerca e allo sviluppo di tecnologie a basse emissioni di anidride carbonica. L’AIE sottolinea comunque che “le emissioni globali di anidride carbonica responsabile del riscaldamento globale non hanno registrato incrementi lo scorso anno (2014), per la prima volta in quarant’anni, senza che vi fosse una crisi economica in atto”. Questa buona notizia è attribuibile alle diverse dinamiche di consumo energetico in Cina, il paese maggiormente responsabile dell’inquinamento da anidride carbonica al mondo, e sembra essere un segnale del fatto che gli sforzi volti a controllare i cambiamenti climatici stanno iniziando a dare i loro frutti. Sempre sul fronte delle buone notizie, il Presidente Obama ha sottoscritto nel mese di marzo di quest’anno un ordine esecutivo che impone al governo federale degli Stati Uniti di ridurre entro il 2025 le emissioni di gas serra del 40 percento rispetto ai livelli registrati nel 2008. Compagnie come Lockheed Martin e General Electric hanno annunciato che effettueranno delle riduzioni su base volontaria. Il risultato di un provvedimento del genere equivarrebbe a quello ottenibile riducendo di 5,5 milioni le automobili in circolazione per un anno. Comunque, l’elemento più rilevante in assoluto è il fatto che i paesi del G7 hanno deciso, durante il meeting dell’8 giugno, di sviluppare delle strategie a lungo termine per ridurre le emissioni di anidride carbonica e abbandonare i combustibili fossili entro la fine del secolo. Tali sviluppi avranno delle implicazioni notevoli per il panorama dell’energia globale nel medio e lungo periodo, e andranno a sommarsi alle pressioni che l’OPEC sta affrontando per poter mantenere la sua importanza.