L'energia e la "trappola di Tucidide"
World Energy & Oil / Moisés Naím
Tucidide sta tornando di grande attualità. Negli ultimi anni, le idee di questo generale e storico ateniese vissuto intorno al 450 a.C. hanno ripreso ad attirare l’attenzione. Nei suoi scritti, Tucidide ha trattato svariati argomenti, ma l’attuale interesse per la sua opera si deve alla cronaca che ci ha lasciato della guerra trentennale tra Sparta e Atene. In particolare, ad aver attirato l’attenzione di politici, generali e storici contemporanei è la conclusione di Tucidide secondo cui “fu l’ascesa di Atene e la paura che questa aveva ispirato a Sparta a rendere inevitabile la guerra”. A preoccupare gli analisti odierni è il pronostico secondo cui, quando emerge una potenza rivale in grado di minacciare l’egemonia della potenza dominante, la guerra è inevitabile. Il riferimento, naturalmente, è alle possibili reazioni statunitensi all’ascesa cinese. Gli attuali attriti tra le due superpotenze continueranno ad accentuarsi fino ad arrivare a uno scontro che cambierà il pianeta, oppure le parti troveranno il modo di coesistere spartendosi il potere globale in termini sostanzialmente pacifici, pur non senza tensioni e fratture? Per dissipare i timori di una guerra, il presidente cinese Xi Jinping ha affermato: “Dobbiamo collaborare tutti per evitare la trappola di Tucidide e ogni tensione dannosa tra una potenza emergente e le potenze dominanti (…). Il nostro intento è di promuovere un nuovo modello di relazioni tra grandi paesi”.
La trappola di Tucidide applicata all’energia
Anche se, di per sé, non può neutralizzare del tutto gli effetti delle forze responsabili dell’attrito tra Cina e Stati Uniti, la politica energetica può comunque contribuire a pacificarne le relazioni, dal momento che le complementarità tra i settori dell’energia dei due paesi sono significative. A limitare queste opportunità, tuttavia, non è solo la guerra commerciale in corso tra Cina e USA, ma anche le differenze alla base delle rispettive politiche energetiche e ambientali. Un limite fondamentale alla potenziale collaborazione tra le due superpotenze economiche nel settore dell’energia risiede nella disparità dei rispettivi (e dichiarati) intenti strategici. La strategia energetica a lungo termine della Cina, come indicato nel documento “Energy Outlook for 2050” pubblicato dalla compagnia petrolifera di stato China National Petroleum Corporation, punta a una sostituzione su grande scala di carbone e petrolio con gas naturale e fonti di energia rinnovabili. L’ambizioso obiettivo è di soddisfare il 35 percento del proprio fabbisogno energetico tramite fonti solari ed eoliche (e quasi il 20 percento grazie al gas naturale) entro il 2050. La strategia prevede inoltre di ridurre le quote di carbone e di greggio nel mix energetico nazionale, rispettivamente, del 33 e del 15 percento. La Cina ha dichiarato un forte impegno a ridurre il proprio impatto ambientale e sta già compiendo passi avanti in tal senso. Per contro, la strategia energetica statunitense (come indicato nei principali discorsi politici ufficiali, ad esempio quello tenuto dall’allora segretario degli Interni Ryan Zinke nel settembre del 2017) intende favorire attivamente lo sviluppo dei combustibili fossili. L’amministrazione Trump ha affermato, inoltre, di voler conquistare quanto definisce il “predominio energetico globale” soprattutto aumentando le esportazioni di petrolio e gas. Mentre gli Stati Uniti si sono ritirati dall’Accordo di Parigi del 2016 e hanno abolito la maggior parte delle normative ambientali adottate dall’amministrazione Obama, la Cina è diventata uno dei principali paladini della tutela dell’ambiente. In conseguenza di queste posizioni strategiche contrastanti, le tensioni sul settore dell’energia hanno cominciato a manifestarsi addirittura prima della comparsa dell’attuale crisi commerciale. In risposta all’aumento dei dazi imposto da Washington nel 2018 sulle importazioni di pannelli solari prodotti in Cina, Pechino ha immediatamente tagliato le importazioni petrolifere dagli Stati Uniti. Da una media di quasi 400.000 barili al giorno nel primo semestre del 2018, a settembre dello stesso anno le importazioni cinesi di petrolio statunitense erano ormai crollate quasi a zero. La Cina, inoltre, ha rinviato o annullato del tutto i progetti relativi all’importazione di gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti. La decisione statunitense di aumentare i dazi sui pannelli solari cinesi è stata dettata dalla convinzione di Washington di dover arginare l’irruzione dei produttori cinesi di pannelli nel mercato interno statunitense. Gli impulsi protezionistici sono stati influenzati dalla chiusura, negli ultimi anni, di oltre una decina di aziende produttrici di pannelli solari con sede negli USA, come pure dall’acquisizione da parte di società cinesi di numerose aziende statunitensi operanti nel settore della tecnologia solare. A irritare l’amministrazione Trump è stato anche il fatto che, a differenza della rapida diffusione di prodotti e società cinesi nel mercato dell’energia solare statunitense, le imprese americane si sono trovate talvolta ad affrontare ostacoli insormontabili per entrare o operare con profitto nel mercato solare cinese. Un’eccezione (all’epoca molto pubblicizzata) è stato l’investimento, operato da Apple nel 2015, in due centrali solari da 20 megawatt nella provincia del Sichuan in grado di generare energia sufficiente per circa 60.000 famiglie cinesi. Purtroppo, gli esempi di successo come questo scarseggiano. Le restrizioni cinesi agli investitori stranieri in questo settore hanno scoraggiato le aziende americane: la Cina, infatti, impone alle società estere di condividere la propria tecnologia delle turbine eoliche e di acquistare almeno il 70 percento della componentistica da fonti locali. La crisi commerciale attualmente in corso ha inoltre rallentato (o forse addirittura annullato) importanti progetti congiunti nel settore Oil&gas. Durante la visita del presidente Trump in Cina, nel novembre del 2017, è stato firmato un memorandum d’intesa allo scopo di promuovere lo sviluppo dello shale e grandi progetti nel settore dell’industria chimica. Il progetto prevedeva inoltre che la China Energy Investment Corporation, società mineraria ed energetica cinese, investisse fino a 83 miliardi di dollari nella Virginia Occidentale. La visita di Trump ha anche portato alla sottoscrizione di una joint venture di gas di petrolio liquefatti con sede in Alaska del valore di 43 miliardi di dollari tra l’Alaska Gasline Development Corporation e il gruppo petrolifero e petrolchimico cinese Sinopec. Un altro esempio è quello della joint venture da 3,5 miliardi di dollari tra il gruppo Yankuang e la statunitense Air Products & Chemicals per costruire una centrale a gas di sintesi nella città cinese di Hohhot. Tutti questi progetti sono ora a rischio a causa dell’aggravarsi delle tensioni commerciali. L’American Petroleum Institute ha avvertito che l’estromissione degli Stati Uniti dal mercato cinese del gas naturale a causa della guerra commerciale è una brutta notizia non solo per gli USA ma anche per la stabilità dell’economia globale.
Complementarità per la cooperazione energetica
Questa brutta notizia non deve far perdere di vista l’immenso potenziale di una relazione costruttiva e collaborativa tra Cina e Stati Uniti nel settore dell’energia. L’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) calcola che nel corso dei prossimi quattro anni gli Stati Uniti saranno responsabili di circa il 40 percento dell’aumento della produzione complessiva di gas naturale a livello mondiale, diventando così uno dei primi tre esportatori di gas naturale liquefatto insieme ad Australia e Russia. La IEA prevede anche che, di qui al 2022, la domanda cinese di gas naturale crescerà ogni anno di un incredibile 8,7 percento, in gran parte in conseguenza dell’impegno di Pechino a migliorare la qualità dell’aria. Una tale espansione della domanda cinese di gas renderà necessario raddoppiarne le importazioni entro i prossimi tre anni. Anche se la Cina avrà la possibilità di importare ulteriore gas naturale dalla vicina Russia e da altri fornitori, il gas naturale statunitense offre a entrambi i paesi un’occasione unica di collaborare a un accordo reciprocamente vantaggioso. Dal momento che la China National Petroleum Corporation sta reperendo ingenti riserve di shale oil nella parte settentrionale della municipalità di Tianjin, lo sviluppo delle riserve di shale oil e gas offre occasioni importanti di cooperazione. Secondo la IEA, la Cina è ormai il terzo paese per riserve di shale oil dopo Stati Uniti e Russia e potrebbe indubbiamente trarre vantaggio dal supporto tecnologico e operativo statunitense. Purtroppo, tuttavia, sarà difficile tradurre in realtà queste occasioni fin tanto che il braccio di ferro commerciale tra Stati Uniti e Cina proseguirà inesorabile. Il settore dell’energia, di per sé, non sembra rivestire un’importanza sufficiente da essere un fattore in grado di attenuare la natura conflittuale delle attuali relazioni. Tanto la leadership cinese quanto quella statunitense sembrano salde nelle rispettive posizioni. Il presidente Xi Jinping ha affermato che “la Cina continuerà a tenere alta la bandiera della pace, dello sviluppo, della cooperazione e del vantaggio reciproco come pure a perseguire l’obiettivo fondamentale di politica estera di preservare la pace mondiale e promuovere uno sviluppo comune”. Al contrario, il presidente Trump ha raddoppiato l’impegno a tener fede allo slogan “America First”. Oltre ad aver citato il Mago di Oz in un discorso tenuto in Vietnam nel novembre del 2017 (“Nessun posto è bello come casa mia”), Trump ha anche ammesso, piuttosto esplicitamente, di sperare che la guerra commerciale attualmente in corso porti la produzione interna statunitense a superare il volume delle importazioni. Nella sua cronaca della guerra del Peloponneso, Tucidide ha scritto: “Io temo maggiormente gli errori nostri che i disegni dei nemici”. Se i leader attuali terranno conto di questo avvertimento, ci sono buone probabilità di evitare la trappola e trovare una via alla cooperazione tra i due paesi: una via che, se tutto va bene, sarà illuminata a gas. Anche se non possono smantellare la trappola di Tucidide, i settori dell’energia cinese e statunitense possono comunque mitigarne gli effetti.